Letteralmente dentro. Che dire: esperienza "interessante".
La giornata era cominciata come meglio non poteva, calda e soleggiata, alle dieci di mattina a 2500 metri si stava piacevolmente in maniche corte ad ammirare i prati fioriti e le marmotte, un vero privilegio.
Le nubi vere e proprie fecero la loro comparsa verso le 13, inizialmente si comportavano come animali curiosi, osservando da lontano i numerosi escursionisti di passaggio, via via però presero coraggio gonfiando il pelo e divenendo numerose e ostili.
Cominciano così ad arrampicarsi per le pendici della montagna, sempre più minacciose, impazziscono, si rincorrono e si azzannano tra loro, dopodiché mi fiutano e decidono di concentrare i propri sforzi su di me, a quanto pare sono l'unica vittima su cui poter infierire.
Si stringono come un branco di lupi che accerchia la preda. Io a quel punto mi trovo con due scelte, tornare lungo la strada che ho appena fatto, molto più lunga ma sicura, o proseguire lungo la strada che ho davanti, più corta ma ignota, vista solo sulla cartina nei giorni precedenti. Complice anche l'aver stimato male il dislivello ( pensavo a quel punto di dover affrontare massimo 150 metri, in realtà erano circa 300 ) decido per la seconda, con la mente che si domandava come mai non incontrassi più escursionisti da diverso tempo e se magari ciò non fosse dovuto a qualche frana o cumulo di neve che bloccava il passaggio lungo la restante parte del tracciato che avevo imboccato ( effettivamente frane e neve più avanti ce n'erano ma nulla di entità tale da porre problemi per fortuna ).
Qui inizia la parte più surreale di tutta l'esperienza, somiglia più a un immersione subacquea che a un escursione in mountain bike: ora sono letteralmente dentro le nubi. E spingo. Spingo a mano perché non vedo la strada se non per pochi metri e perché voglio tenere da parte energie nel caso dovessero servire, la strada sale regolare, a occhio sul 10%.
Spingo e faccio esperienza dell'ampio repertorio di piogge che la natura può offrire: in certi istanti si percepisce un umidità densa e pastosa, sembra letteralmente di bere l'aria anziché respirarla. In altri l'umidità stessa condensa e forma delle goccioline che però non cadono ma si poggiano delicate sulla bici e sui vestiti. In altri ancora si sentono vere e proprie gocce cadere, ma sparute, se si volesse si potrebbero contarle una ad una. Infine la pioggia vera e propria che tutti conosciamo, in varie intensità. Tutte queste situazioni si alternano e mescolano tra loro caoticamente, senza dare alcun riferimento, ricalcando, presumo, la danza delle nubi in cui sto facendo naufragio.
Non sento il vento grazie alla giacca e ai guanti tecnici che mi porto sempre dietro in quota, e la temperatura sorprendentemente si mantiene tale da non infastidire, non dico che sto bene ma almeno non sto male. Fuori sono bagnato ma sotto sono ancora asciutto, l'abbigliamento per ora fa il suo dovere. Non ci sono ripari e anche se ci fossero sarebbero inutili, bagnato sono bagnato e il tempo comunque corre, fermarsi a quel punto sarebbe solo deletereo, ho stimato che se tutto va bene per le 17 dovrei raggiungere la mia destinazione ( arriverò alle 17.10 ) e non è il caso di sprecarne.
Vado avanti così per quasi un ora, la salita sembra non finire mai, non vedo la strada se non per pochi metri per via delle nubi, nei momenti peggiori la ruota anteriore è quasi l'unica cosa che posso visualizzare. Ogni volta che raggiungo un tornante penso di essere arrivato in cima ma poi lo volto e mi trovo ancora a salire, non mento se dico che la cosa non è piacevole ma d'altro canto ogni tornante superato è un tornante in meno che mi separa dalla cima e tornare indietro a quel punto è fuori discussione.
Le nubi cominciano a ruggire, si sentono dei tuoni che rimbalzano e riverberano sulle pareti delle montagne vicine, andranno avanti per una buona mezz'ora. Non vedo però il bagliore di lampi e a giudicare dalla moderata potenza del rombo li stimo ancora distanti, tutto questo mi rincuora ma procedo comunque con l'orecchio teso per sentire se si avvicinano, una vocina mi fa presente che tengo in mano l'unico pezzo di metallo su quella cima, un altra la zittisce prima che possa fare danni. Spingo.
Non provo particolari emozioni, sono pragmatico, disciplinato e concentrato, percepisco me stesso come moltiplicato, un insieme di persone a cui sono assegnati vari compiti, una parte di me si limita a spingere la bici, nel mentre un altra sta stimando la strada percorsa e da percorrere e i tempi necessari, un altra ancora valuta i riferimenti circostanti, un altra cerca di prevedere i possibili problemi prima che nascano e scremarli dai problemi a cui non posso porre rimedio, mettendo il tutto in ordine di priorità. La situazione limita le scelte, il che tutto sommato è un bene. Si può solo andare avanti o indietro, non ci sono ripari, non ci sono scappatoie, non ci sono troppe scelte da fare, avanti o indietro. Si va avanti.
Continuo a superare tornanti ma la strada non molla un colpo, si continua a salire. e a spingere. Mollano però le nuvole, abbastanza da farmi vedere un minimo cosa ho attorno: mi accorgo che a questo punto definitivamente non posso essere lontano dalla cima, non solo per il tempo da cui sto spingendo ma perché ormai ci sono più sfasciumi che erba e vedo più accumuli di neve. Finalmente svolto l'ultimo tornante e vedo un piccolo balcone con degli ometti fatti di pietre, capisco che indicano la sommità del tracciato, quota 2760 circa, uno squarcio nelle nubi mi permette di vedere subito la strada scendere prepotentemente. I miei alter ego di poco sopra si danno tutti pacche sulle spalle e strette di mano.
Inforco la bici, finalmente la gravità mi restituirà tutti i metri che ho messo in banca, scendo testando per qualche tornante la scivolosità del fondo e i freni, che inizialmente gridano perché bagnati.
Non sono ancora al riparo, non mi lascio andare all'euforia, voglio rimanere allerta se dovesse succedere qualcosa durante la discesa ma sono rincuorato, sono consapevole che almeno non dovrò più ne spingere ne pedalare e ormai a scanso di imprevisti la distanza dalla meta sarà ormai questione di minuti non più di ore.
Su questo versante la situazione è decisamente migliore, le nubi sono magnanime, ho qualche centinaio di metri di visibilità, a tratti degli squarci tra le nubi mi permettono di sbirciare le cime circostanti e persino qualche sporadico raggio di sole creando scenari surreali e ipnotici, una parte di me si fermerebbe ore ad ammirare questo spettacolo, l'altra invece la prende per un braccio e la invita a muoversi: vince lei.
Non piove più, le nuvole ci sono ma sono o più basse o più alte, improvvisamente non hanno più voglia di giocare con me. Mi rendo conto di poter fare un po' di velocità, passo dai 5 all'ora che facevo in salita spingendo ai 20/30 all'ora che la strada consente in relativa sicurezza, non vado di più anche dove si può, non voglio rischiare di forare o stallonare.
il fondo è ottimo, solcato da numerosi rigagnoli d'acqua e pozzanghere ma compatto, la strada persino divertente, mi concedo un paio di soste giusto per scattare un paio di foto ricordo perché ora la vista è incredibilmente bella ed io me la sono guadagnata
e scambiare due parole con l'unico escursionista incontrato da ore chiedendogli se avesse bisogno di qualcosa ma sembra sapere il fatto suo. Mi saluta dicendo che sono fortunato perché con la bici almeno faccio prima a scendere, accetto e sorrido senza fargli presente che se ho una bici e anche perché l'ho pure portata fino in cima. Saluto e risalgo in sella, e finalmente piombo veloce verso valle e leggero come una piuma raggiungo la agognata meta.
Si, a conti fatti è stata decisamente "interessante" un altra da portare a casa e raccontare agli amici. Ma se posso scegliere francamente non la rifarei.
La giornata era cominciata come meglio non poteva, calda e soleggiata, alle dieci di mattina a 2500 metri si stava piacevolmente in maniche corte ad ammirare i prati fioriti e le marmotte, un vero privilegio.
Le nubi vere e proprie fecero la loro comparsa verso le 13, inizialmente si comportavano come animali curiosi, osservando da lontano i numerosi escursionisti di passaggio, via via però presero coraggio gonfiando il pelo e divenendo numerose e ostili.
Cominciano così ad arrampicarsi per le pendici della montagna, sempre più minacciose, impazziscono, si rincorrono e si azzannano tra loro, dopodiché mi fiutano e decidono di concentrare i propri sforzi su di me, a quanto pare sono l'unica vittima su cui poter infierire.
Si stringono come un branco di lupi che accerchia la preda. Io a quel punto mi trovo con due scelte, tornare lungo la strada che ho appena fatto, molto più lunga ma sicura, o proseguire lungo la strada che ho davanti, più corta ma ignota, vista solo sulla cartina nei giorni precedenti. Complice anche l'aver stimato male il dislivello ( pensavo a quel punto di dover affrontare massimo 150 metri, in realtà erano circa 300 ) decido per la seconda, con la mente che si domandava come mai non incontrassi più escursionisti da diverso tempo e se magari ciò non fosse dovuto a qualche frana o cumulo di neve che bloccava il passaggio lungo la restante parte del tracciato che avevo imboccato ( effettivamente frane e neve più avanti ce n'erano ma nulla di entità tale da porre problemi per fortuna ).
Qui inizia la parte più surreale di tutta l'esperienza, somiglia più a un immersione subacquea che a un escursione in mountain bike: ora sono letteralmente dentro le nubi. E spingo. Spingo a mano perché non vedo la strada se non per pochi metri e perché voglio tenere da parte energie nel caso dovessero servire, la strada sale regolare, a occhio sul 10%.
Spingo e faccio esperienza dell'ampio repertorio di piogge che la natura può offrire: in certi istanti si percepisce un umidità densa e pastosa, sembra letteralmente di bere l'aria anziché respirarla. In altri l'umidità stessa condensa e forma delle goccioline che però non cadono ma si poggiano delicate sulla bici e sui vestiti. In altri ancora si sentono vere e proprie gocce cadere, ma sparute, se si volesse si potrebbero contarle una ad una. Infine la pioggia vera e propria che tutti conosciamo, in varie intensità. Tutte queste situazioni si alternano e mescolano tra loro caoticamente, senza dare alcun riferimento, ricalcando, presumo, la danza delle nubi in cui sto facendo naufragio.
Non sento il vento grazie alla giacca e ai guanti tecnici che mi porto sempre dietro in quota, e la temperatura sorprendentemente si mantiene tale da non infastidire, non dico che sto bene ma almeno non sto male. Fuori sono bagnato ma sotto sono ancora asciutto, l'abbigliamento per ora fa il suo dovere. Non ci sono ripari e anche se ci fossero sarebbero inutili, bagnato sono bagnato e il tempo comunque corre, fermarsi a quel punto sarebbe solo deletereo, ho stimato che se tutto va bene per le 17 dovrei raggiungere la mia destinazione ( arriverò alle 17.10 ) e non è il caso di sprecarne.
Vado avanti così per quasi un ora, la salita sembra non finire mai, non vedo la strada se non per pochi metri per via delle nubi, nei momenti peggiori la ruota anteriore è quasi l'unica cosa che posso visualizzare. Ogni volta che raggiungo un tornante penso di essere arrivato in cima ma poi lo volto e mi trovo ancora a salire, non mento se dico che la cosa non è piacevole ma d'altro canto ogni tornante superato è un tornante in meno che mi separa dalla cima e tornare indietro a quel punto è fuori discussione.
Le nubi cominciano a ruggire, si sentono dei tuoni che rimbalzano e riverberano sulle pareti delle montagne vicine, andranno avanti per una buona mezz'ora. Non vedo però il bagliore di lampi e a giudicare dalla moderata potenza del rombo li stimo ancora distanti, tutto questo mi rincuora ma procedo comunque con l'orecchio teso per sentire se si avvicinano, una vocina mi fa presente che tengo in mano l'unico pezzo di metallo su quella cima, un altra la zittisce prima che possa fare danni. Spingo.
Non provo particolari emozioni, sono pragmatico, disciplinato e concentrato, percepisco me stesso come moltiplicato, un insieme di persone a cui sono assegnati vari compiti, una parte di me si limita a spingere la bici, nel mentre un altra sta stimando la strada percorsa e da percorrere e i tempi necessari, un altra ancora valuta i riferimenti circostanti, un altra cerca di prevedere i possibili problemi prima che nascano e scremarli dai problemi a cui non posso porre rimedio, mettendo il tutto in ordine di priorità. La situazione limita le scelte, il che tutto sommato è un bene. Si può solo andare avanti o indietro, non ci sono ripari, non ci sono scappatoie, non ci sono troppe scelte da fare, avanti o indietro. Si va avanti.
Continuo a superare tornanti ma la strada non molla un colpo, si continua a salire. e a spingere. Mollano però le nuvole, abbastanza da farmi vedere un minimo cosa ho attorno: mi accorgo che a questo punto definitivamente non posso essere lontano dalla cima, non solo per il tempo da cui sto spingendo ma perché ormai ci sono più sfasciumi che erba e vedo più accumuli di neve. Finalmente svolto l'ultimo tornante e vedo un piccolo balcone con degli ometti fatti di pietre, capisco che indicano la sommità del tracciato, quota 2760 circa, uno squarcio nelle nubi mi permette di vedere subito la strada scendere prepotentemente. I miei alter ego di poco sopra si danno tutti pacche sulle spalle e strette di mano.
Inforco la bici, finalmente la gravità mi restituirà tutti i metri che ho messo in banca, scendo testando per qualche tornante la scivolosità del fondo e i freni, che inizialmente gridano perché bagnati.
Non sono ancora al riparo, non mi lascio andare all'euforia, voglio rimanere allerta se dovesse succedere qualcosa durante la discesa ma sono rincuorato, sono consapevole che almeno non dovrò più ne spingere ne pedalare e ormai a scanso di imprevisti la distanza dalla meta sarà ormai questione di minuti non più di ore.
Su questo versante la situazione è decisamente migliore, le nubi sono magnanime, ho qualche centinaio di metri di visibilità, a tratti degli squarci tra le nubi mi permettono di sbirciare le cime circostanti e persino qualche sporadico raggio di sole creando scenari surreali e ipnotici, una parte di me si fermerebbe ore ad ammirare questo spettacolo, l'altra invece la prende per un braccio e la invita a muoversi: vince lei.
Non piove più, le nuvole ci sono ma sono o più basse o più alte, improvvisamente non hanno più voglia di giocare con me. Mi rendo conto di poter fare un po' di velocità, passo dai 5 all'ora che facevo in salita spingendo ai 20/30 all'ora che la strada consente in relativa sicurezza, non vado di più anche dove si può, non voglio rischiare di forare o stallonare.
il fondo è ottimo, solcato da numerosi rigagnoli d'acqua e pozzanghere ma compatto, la strada persino divertente, mi concedo un paio di soste giusto per scattare un paio di foto ricordo perché ora la vista è incredibilmente bella ed io me la sono guadagnata
e scambiare due parole con l'unico escursionista incontrato da ore chiedendogli se avesse bisogno di qualcosa ma sembra sapere il fatto suo. Mi saluta dicendo che sono fortunato perché con la bici almeno faccio prima a scendere, accetto e sorrido senza fargli presente che se ho una bici e anche perché l'ho pure portata fino in cima. Saluto e risalgo in sella, e finalmente piombo veloce verso valle e leggero come una piuma raggiungo la agognata meta.
Si, a conti fatti è stata decisamente "interessante" un altra da portare a casa e raccontare agli amici. Ma se posso scegliere francamente non la rifarei.
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