Ogni minaccia è un debito
Chi pensa di annoiarsi si astenga dalla lettura gli insulti invece direttamente per mp, grazie
Io questo sentiero da quando so che esiste ho la curiosità di farlo.
Ora sono qui, alla partenza, e mi girano un po le scatole, per la maxi fila a Villa Adriana, quella solita, e laltra maxi fila a Villanova, questa però a sorpresa. Storie consuete dellinterland romano. Mi viene fatto di pensare che con lo stesso tempo ci sarei arrivata a Spoleto, o a Sulmona, o basta, speriamo che con lazione, e la fatica, mi passi. E speriamo che sia bello.
Senza lindicazione di Ermanno non sarei riuscita facilmente a trovare limbocco della stradina che porta su. Comincia subito ripido e sassoso, una fatica spingere lenduro. Poi un cancello da aprire e subito dopo un bivio non contemplato, segni CAI da entrambe le parti. Quella giusta è a destra.
Il fondo e la pendenza migliorano e cominciano i tornanti. Dopo un po mi viene in mente di contarli, finchè mi accorgo che sono numerati. Per ora mi sembra tutto molto facile, scorrevole. Il fondo è quello terroso e coperto di foglie di leccio tipico di Monteluco, quando non è roccioso. Anche il bosco è lo stesso anche se manca la dimensione imponente degli alberi secolari, che lì ne fanno una vera foresta mentre questa è più una macchia.
Qua e là individuo nel bosco delle scorciatoie probabilmente simpatiche in discesa, volendo ricercare un rapporto carnale coi tronchi dei lecci ma è inutile pensarci, il dislivello è già poco, e faticosamente guadagnato, quindi lo centellinerò senza tagli di sorta.
Più in alto pioviccica, poi si mette a grandinare. Accidenti, il vento aveva un po asciugato il terreno dopo i diluvi di ieri. Difficile che mi induca a scendere. Le fronde fitte dei lecci per ora mi riparano abbastanza. Poi smette, e torna persino un po di sole.
Una torre biancheggia contro il cielo sopra di me, sulla sinistra, alla fine del pendio. La vedo pian piano avvicinarsi sarà possibile visitarla o sarà protetta da reticolati e cancelli mi fa pensare al mare della Sardegna, alle torri di guardia che dominano qua e là le falesie.
Sarà pur vero che tra una svolta e laltra a tratti si pedalicchia, come dice Ermanno, ma con unaltra bici e un altro paio di gambe. A me non viene voglia di smattirmi sali, scendi, parti, fermati tanto vale spingere fino ad ora è abbastanza comodo. Vado alla fantasmagorica velocità di 250 metri di dislivello allora mi rifarò calando. Per ora è tutto facile, scorrevole, divertimento assicurato. Poi arrivo al tornante 16 e mi ci faccio una pensata. Questo, così come sta, non lo faccio di sicuro: molto pietroso e del tutto pianeggiante, e seguito in uscita da due o tre metri di massi smossi, anche quelli in piano. Provo a studiare una traiettoria alternativa che taglia, anche se ho i miei dubbi che con sto fondo sempre più viscido avrò la pompa di provarla. Da lì in poi comincio a studiarmi qualche traiettoria sulle curve, visto che il fondo è peggiorato e le pietre sono alquanto infangate.
Arrivo al tornante 20 e cè ancora un bel pezzo di pendio sopra di me. Acc forse il sentiero dei 20 tornanti detto da Ermanno era solo unindicazione di massima. Spingi, spingi che noia, ho voglia di calare. Vedo la linea di cresta su in alto, molto netta, e ora mi prende la curiosità di scoprire comè. Sta tornando scuro, vuoi vedere che si rimette a piovere: la torre di pietra chiara ormai vicina si staglia contro il grigio scuro del cielo e domina il grigio quasi nero dei lecci sottostanti.
Nel silenzio, sento uno schianto: mi volto in tempo per vedere a pochi metri da me un cinghialetto volare giù da una scarpata rocciosa. Appena riesce ad arrestare il ruzzolone, riparte in salita senza scomporsi troppo: anche i cinghiali cadono!
Ora il sentiero passa sul versante più ombroso di una superficiale valletta e attraversa un bosco a foglie caduche, cè anche qualche faggio. Al tornante 24, il penultimo, incontro un escursionista che scende, imbacuccato e infreddolito, e mi fermo a fare due chiacchiere. Mi dice che la torre è accessibile, e che per arrivare ai ripetitori cè una salitaccia, è ripida pure a piedi è perplesso riguardo alla bici, probabilmente si preoccupa della discesa, io molto più della salita, piuttosto.
In cresta mi accoglie una furiosa nevicata a pallini. Davanti a me, al di là di una valle, il Pellecchia ingrigito da una spolverata di neve è immerso nella bufera, mentre più a sinistra le pendici dei monti della Sabina, anche quelle un po imbiancate, sono illuminate dal sole. E dove sta il Gennaro? Penso di averlo a destra, nella nebbia: io per ora vado dalla parte opposta.
Quando arrivo alla torre, pedalando assai poco sullo sterrato ripido, è già smesso di nevicare. E una bella torre circolare di pietre bianche, ben tenuta, però sul tetto spunta una brutta antenna, mi viene da pensare che se scattassi una foto di sicuro la eliminerei poi col fotoritocco. Ora rimpiango la fotocamera: il panorama lascia senza fiato. Cè la campagna della Sabina a picco sotto di me, appena lavata dalla pioggia e nitida come una carta geografica: qua e là il sole accende abbaglianti punti di luce, saranno tetti di lamiera? Specchi dacqua? Proprio sotto lo sperone roccioso, molto più in basso, i tetti di Palombara arroccata su se stessa se spiccassi un salto potrei atterrare nella piazza degli autobus. Più lontano, dietro la pianura, dietro Roma di cui sembra poter contare le case, un mare a pelle di leopardo, macchie di nuvole sulla superficie di un lucente specchio.
Penso con tristezza che Roma disastrata e assassinata ormai mi può piacere giusto da quassù.
Me ne vado nellaltra direzione. In cima al Gennaro non farò in tempo ad andarci, però magari posso arrivare ai ripetitori.
Un po di saliscendi, scavalco un poggio con dei bellissimi agrifogli, poi nel fitto di un bosco in fondo a una valletta ci sta la salita temuta. Davvero ripida e sconnessa, una fatica improba e un atto di pura testardaggine portare su la bici: il posto dove arrivo non vale davvero quello precedente, è anche piuttosto sporco, oltretutto. La cima del Gennaro è lì peccato non avere tempo (purtroppo ho un impegno).
Cinque minuti per i rituali preparativi, e giù. La pettata in discesa si rivela come previsto banale, nonostante il fango.
E, slurp slurp finalmente imbocco il sentierino. Si balla. Sotto le foglie marce cè un fondo di pietre viscide e fangose, ogni tanto mi salvo con qualche piedata qua e là. Poi migliora e diventa facile, ma naturalmente arrivo a palla sul tornante 16 scavalcando la mia traiettoria alternativa senza manco averla vista non che sarebbe cambiato qualcosa, mi faccio tre metri a mano e passa la paura. Dopo di che, non resta che correre e godere.
Se 25 vi sembran tanti sbagliato, finiscono subito. A un certo punto aumenta la luce e cacchio, sto uscendo dal bosco, pensavo di stare a 10, invece è già finito. Mi piglia una botta di nostalgia per la Portella, per i Valloni certo che con un dislivello quasi doppio, quanti saranno i tornanti? Non li ho mai contati. Ma certo che ora starei ancora a scendere, salvo poi risalire e riprovare, riprovare, senza un minimo di noia, col gusto di fare i passaggi ogni volta un poco meglio.
Vabbè, questo era il Gennaro, che voglio di più. Bello, il sentiero dei 25 tornatini! Ho il fango fin sopra le orecchie e ho giusto il tempo per buttare dentro la bici così comè (lurida) e fiondarmi a casa.
Chi pensa di annoiarsi si astenga dalla lettura gli insulti invece direttamente per mp, grazie
Io questo sentiero da quando so che esiste ho la curiosità di farlo.
Ora sono qui, alla partenza, e mi girano un po le scatole, per la maxi fila a Villa Adriana, quella solita, e laltra maxi fila a Villanova, questa però a sorpresa. Storie consuete dellinterland romano. Mi viene fatto di pensare che con lo stesso tempo ci sarei arrivata a Spoleto, o a Sulmona, o basta, speriamo che con lazione, e la fatica, mi passi. E speriamo che sia bello.
Senza lindicazione di Ermanno non sarei riuscita facilmente a trovare limbocco della stradina che porta su. Comincia subito ripido e sassoso, una fatica spingere lenduro. Poi un cancello da aprire e subito dopo un bivio non contemplato, segni CAI da entrambe le parti. Quella giusta è a destra.
Il fondo e la pendenza migliorano e cominciano i tornanti. Dopo un po mi viene in mente di contarli, finchè mi accorgo che sono numerati. Per ora mi sembra tutto molto facile, scorrevole. Il fondo è quello terroso e coperto di foglie di leccio tipico di Monteluco, quando non è roccioso. Anche il bosco è lo stesso anche se manca la dimensione imponente degli alberi secolari, che lì ne fanno una vera foresta mentre questa è più una macchia.
Qua e là individuo nel bosco delle scorciatoie probabilmente simpatiche in discesa, volendo ricercare un rapporto carnale coi tronchi dei lecci ma è inutile pensarci, il dislivello è già poco, e faticosamente guadagnato, quindi lo centellinerò senza tagli di sorta.
Più in alto pioviccica, poi si mette a grandinare. Accidenti, il vento aveva un po asciugato il terreno dopo i diluvi di ieri. Difficile che mi induca a scendere. Le fronde fitte dei lecci per ora mi riparano abbastanza. Poi smette, e torna persino un po di sole.
Una torre biancheggia contro il cielo sopra di me, sulla sinistra, alla fine del pendio. La vedo pian piano avvicinarsi sarà possibile visitarla o sarà protetta da reticolati e cancelli mi fa pensare al mare della Sardegna, alle torri di guardia che dominano qua e là le falesie.
Sarà pur vero che tra una svolta e laltra a tratti si pedalicchia, come dice Ermanno, ma con unaltra bici e un altro paio di gambe. A me non viene voglia di smattirmi sali, scendi, parti, fermati tanto vale spingere fino ad ora è abbastanza comodo. Vado alla fantasmagorica velocità di 250 metri di dislivello allora mi rifarò calando. Per ora è tutto facile, scorrevole, divertimento assicurato. Poi arrivo al tornante 16 e mi ci faccio una pensata. Questo, così come sta, non lo faccio di sicuro: molto pietroso e del tutto pianeggiante, e seguito in uscita da due o tre metri di massi smossi, anche quelli in piano. Provo a studiare una traiettoria alternativa che taglia, anche se ho i miei dubbi che con sto fondo sempre più viscido avrò la pompa di provarla. Da lì in poi comincio a studiarmi qualche traiettoria sulle curve, visto che il fondo è peggiorato e le pietre sono alquanto infangate.
Arrivo al tornante 20 e cè ancora un bel pezzo di pendio sopra di me. Acc forse il sentiero dei 20 tornanti detto da Ermanno era solo unindicazione di massima. Spingi, spingi che noia, ho voglia di calare. Vedo la linea di cresta su in alto, molto netta, e ora mi prende la curiosità di scoprire comè. Sta tornando scuro, vuoi vedere che si rimette a piovere: la torre di pietra chiara ormai vicina si staglia contro il grigio scuro del cielo e domina il grigio quasi nero dei lecci sottostanti.
Nel silenzio, sento uno schianto: mi volto in tempo per vedere a pochi metri da me un cinghialetto volare giù da una scarpata rocciosa. Appena riesce ad arrestare il ruzzolone, riparte in salita senza scomporsi troppo: anche i cinghiali cadono!
Ora il sentiero passa sul versante più ombroso di una superficiale valletta e attraversa un bosco a foglie caduche, cè anche qualche faggio. Al tornante 24, il penultimo, incontro un escursionista che scende, imbacuccato e infreddolito, e mi fermo a fare due chiacchiere. Mi dice che la torre è accessibile, e che per arrivare ai ripetitori cè una salitaccia, è ripida pure a piedi è perplesso riguardo alla bici, probabilmente si preoccupa della discesa, io molto più della salita, piuttosto.
In cresta mi accoglie una furiosa nevicata a pallini. Davanti a me, al di là di una valle, il Pellecchia ingrigito da una spolverata di neve è immerso nella bufera, mentre più a sinistra le pendici dei monti della Sabina, anche quelle un po imbiancate, sono illuminate dal sole. E dove sta il Gennaro? Penso di averlo a destra, nella nebbia: io per ora vado dalla parte opposta.
Quando arrivo alla torre, pedalando assai poco sullo sterrato ripido, è già smesso di nevicare. E una bella torre circolare di pietre bianche, ben tenuta, però sul tetto spunta una brutta antenna, mi viene da pensare che se scattassi una foto di sicuro la eliminerei poi col fotoritocco. Ora rimpiango la fotocamera: il panorama lascia senza fiato. Cè la campagna della Sabina a picco sotto di me, appena lavata dalla pioggia e nitida come una carta geografica: qua e là il sole accende abbaglianti punti di luce, saranno tetti di lamiera? Specchi dacqua? Proprio sotto lo sperone roccioso, molto più in basso, i tetti di Palombara arroccata su se stessa se spiccassi un salto potrei atterrare nella piazza degli autobus. Più lontano, dietro la pianura, dietro Roma di cui sembra poter contare le case, un mare a pelle di leopardo, macchie di nuvole sulla superficie di un lucente specchio.
Penso con tristezza che Roma disastrata e assassinata ormai mi può piacere giusto da quassù.
Me ne vado nellaltra direzione. In cima al Gennaro non farò in tempo ad andarci, però magari posso arrivare ai ripetitori.
Un po di saliscendi, scavalco un poggio con dei bellissimi agrifogli, poi nel fitto di un bosco in fondo a una valletta ci sta la salita temuta. Davvero ripida e sconnessa, una fatica improba e un atto di pura testardaggine portare su la bici: il posto dove arrivo non vale davvero quello precedente, è anche piuttosto sporco, oltretutto. La cima del Gennaro è lì peccato non avere tempo (purtroppo ho un impegno).
Cinque minuti per i rituali preparativi, e giù. La pettata in discesa si rivela come previsto banale, nonostante il fango.
E, slurp slurp finalmente imbocco il sentierino. Si balla. Sotto le foglie marce cè un fondo di pietre viscide e fangose, ogni tanto mi salvo con qualche piedata qua e là. Poi migliora e diventa facile, ma naturalmente arrivo a palla sul tornante 16 scavalcando la mia traiettoria alternativa senza manco averla vista non che sarebbe cambiato qualcosa, mi faccio tre metri a mano e passa la paura. Dopo di che, non resta che correre e godere.
Se 25 vi sembran tanti sbagliato, finiscono subito. A un certo punto aumenta la luce e cacchio, sto uscendo dal bosco, pensavo di stare a 10, invece è già finito. Mi piglia una botta di nostalgia per la Portella, per i Valloni certo che con un dislivello quasi doppio, quanti saranno i tornanti? Non li ho mai contati. Ma certo che ora starei ancora a scendere, salvo poi risalire e riprovare, riprovare, senza un minimo di noia, col gusto di fare i passaggi ogni volta un poco meglio.
Vabbè, questo era il Gennaro, che voglio di più. Bello, il sentiero dei 25 tornatini! Ho il fango fin sopra le orecchie e ho giusto il tempo per buttare dentro la bici così comè (lurida) e fiondarmi a casa.