gita in bicicletta

una vita da mediano

Biker assatanatus
4/8/05
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specy stumpy, c'dale flash, gravel e corsa
Vi inoltro un resoconto di una mia uscita dell'anno scorso, tanto per condividerlo con qualcuno che ha la mia stessa passione.....

Gita in bicicletta



Stavo organizzando questa escursione da molto tempo, avevo annotato con cura maniacale tutte le informazioni che ero riuscito a reperire, avevo studiato mappe, altimetrie e sentieri, ero veramente pronto.

Quando la mattina presto mi svegliai era una meravigliosa giornata, il cielo era sgombro di nuvole e la temperatura era frizzante nonostante che fosse giugno. Versai del caffè in una grossa tazza e andai a berlo sulla porta di casa, per assaporare così l’aroma della bevanda miscelato con gli odori freschi della montagna d’estate.

Ero pronto, l’ultima controllata al materiale che mi sarei portato dietro ed alla bicicletta, verificai specialmente in modo meccanico che i cerchi non strusciassero sui pattini dei freni, detti due grosse pinzate per testare l’efficacia degli ammortizzatori, e via,
si poteva partire.

Facevo queste escursioni per lo più da solo non tanto per asocialità, ma perché non avevo negli amici più intimi dei grossi cultori dell’avventura ed ero troppo timido per unirmi ai ciclisti
che abitualmente solcavano questi percorsi. Poi volete mettere il fascino di un’arrampicata in solitaria per i boschi del parco del Frignano!

Partii molto lentamente portandomi dietro la certezza che avevo lasciato qualcosa di importante a casa, lo strappo iniziale per arrivare a Fanano era notevole visto anche che le gambe ancora dormivano e che erano le sette di mattina. Attraversai il paese che si stava svegliando e mi colpì la calma con la quale la gente di montagna si accingeva ad iniziare la giornata lavorativa. La bicicletta a differenza di tutti gli altri mezzi di trasporto a causa della ridotta velocità ti da la possibilità di penetrare attivamente, con uno sguardo, un gesto, un saluto, la realtà che stai incontrando, questa è sicuramente una delle cose che più mi affascina di questo mezzo di locomozione. Mi lasciai Fanano alle spalle e presi la via che conduce a Fellicarolo, un’incantevole strada asfaltata che inizialmente procede in falsopiano e poi tende a salire incastonata fra una parete di roccia e un bellissimo torrente, il DOCCIONE. Superato il ponte su quest’ultimo la strada volge decisamente verso l’alto e gli ultimi chilometri verso Fellicarolo sono abbastanza impegnativi, la fatica viene smorzata dal paesaggio che si attraversa, una fitta foresta di abeti che raramente fa filtrare qualche raggio di sole. Arrivati a Fellicarolo 911 mt .s.l.m avevo già percorso circa 7 chilometri e un dislivello di 400 metri.
Non sentivo più freddo, anzi tutt’altro, accolsi con gran gioia le poche centinaia di metri pianeggianti che caratterizzano questo paesino di montagna, un lungo viale alberato costellato di tante panchine di legno dove mi immagino gli anziani del paese vengono a passeggiare ed ogni tanto si fermino a contemplare la bellezza del panorama. Continuai a pedalare su di una strada asfaltata che costeggiava un bel bosco di castagni e di tanto in tanto mordicchiavo una delle barrette che mi ero portato dietro.
Dopo pochi chilometri entrai nel piccolo borgo di Casulie, un insieme di fattorie montane e case estive molto carino circondato da splendidi prati, qui mi venne da pensare come potesse essere diversa la vita in questi luoghi, come il tempo acquistasse una valenza meno rilevante e come diminuisse drasticamente il numero dei bisogni da soddisfare. Dopo pochi metri la strada divenne sterrata, ero arrivato alle colonne d’Ercole, non avrei trovato più asfalto fino al mio ritorno a Fanano.
L’aumento della pendenza ed il fondo sconnesso mi costrinsero a ridurre i rapporti quasi fino al minimo, mi trovavo ora al bivio con il sentiero per le Cascate del Doccione su di una erta mulattiera che mi avrebbe condotto dopo non pochi tornanti all’altopiano dei Taburri. Salivo lentamente lungo la fitta faggeta perché volevo risparmiare energie, il tragitto era ancora molto lungo ed il mio rapporto peso-potenza non mi dava certo una mano.Ero nello stato d’animo di insicurezza di coloro che sanno di avere intrapreso un’impresa superiore forse alle proprie possibilità e tutto ciò mi dava un’intima gioia. Queste erano le sensazioni che cercavo sempre nelle mie uscite sia in bicicletta che sulla tavola.
L’altopiano dei Tabarri (1230 mt s.l.m.) mi si aprì maestoso davanti agli occhi ed il corto tratto di pianura mi consentì di godermi uno stupendo panorama, qui l’aria si era fatta più fina e quando mi fermai per tirare il fiato e riempire le borracce scorsi tutta la strada che avevo già percorso, questo mi dette la carica di risalire subito in sella certo di aver raggiunto un piccolo risultato.
Sarebbe stato meglio se mi fossi soffermato di più a riposarmi e a rifocillarmi poiché, subito dietro una sbarra iniziò il sentiero 445 che inerpicandosi sulla sinistra mi tolse immediatamente tutta la boria di dosso. Strappi decisi, dove dovetti far mulinare le gambe per mantenere l’equilibrio, si alternavano a tratti dove il sentiero spianava leggermente tanto da farti sentire quanto le gambe ti bucassero e il fiato fosse già diventato corto; solo una cosa mi rincuorava, il meraviglioso bosco che stavo attraversando. Dopo circa due chilometri di sofferenza il sentiero si era fatto più dolce e si intrometteva in una buia e fitta abetaia, superati alcuni sali- scendi arrivai al rifugio della Pilaccia, una costruzione di pietra che mi faceva venire in mente la casa delle fate, qui mi fermai a bere un’acqua freddissima da una sorgente ed a godere del magico silenzio che circondava questo piccolo edificio. Era quasi un ora e trenta che pedalavo in salita, avevo percorso solo 14 chilometri.
Non mi sgomentai affatto, nelle mie uscite il tempo non ha molta importanza, anzi forse non ne ha per niente, so benissimo di non avere un fisico adatto alla competizione ciclistica quindi non me la prendo se salgo a 12 chilometri orari.
Qui si respirava veramente un’aria diversa, l’atmosfera era incantata, ovattata, pregna di profumi di resine; seduto su di un freddo masso non mi accorsi del passare del tempo, ora ero realmente felice. Questa pausa mi ritemprò lo spirito ed il corpo tanto che mi inerpicai su di un insidioso single-track come se fossi appena partito, quello che avevo visto era niente in confronto a ciò che mi aspettava, superata una stretta curva mi ritrovai improvvisamente fuori dal bosco, ora pedalavo in costa fra cespugli di mirtilli a perdita d’occhio, e guardandomi intorno potevo vedere a 360° le vette dell’appennino toscoemiliano, ero sullo spartiacque tra la valle del Fellicarolo e quella dell’Ospitale finalmente avevo raggiunto il passo del Colombino (1550 mt slm).
Mi soffermai appena per scorgere le vette del Corno alle Scale del Monte Spigolino e il passo della Croce Arcana, era lì che mi stavo dirigendo. Ero stato preso da un’insana euforia che dissolse tutti i buoni propositi di attenzione e di prudenza che mi ero fatto alla partenza, così mi gettai a capofitto nel sentiero 445 che dalla vetta scende fino al bivacco della Rossella, saltando massi e derapando sui tornanti, tanto da mettere in serio pericolo di incolumità i freni e gli ammortizzatori della mia full sospension.
Arrivai in fondo alla radura che concludeva la folle discesa con il cuore che mi batteva a mille dall’eccitazione, in preda ad un orgasmo di adrenalina e guardandomi intorno cercai istintivamente qualcuno con cui poter condividere queste emozioni, ma immediatamente uscii dal trance e mi resi conto che ero solo, come sempre solo. La mancanza di un volto amico accanto ora mi pesava molto, maledissi la timidezza e il mio carattere un po’ troppo snob e avrei pagato oro sentire frasi sguaiate provenire da visi bambinescamente gaudenti.
Ripresi il cammino lentamente lungo la strada forestale che, alternando una serie di saliscendi a tratti di salita abbastanza impegnativa, mi avrebbe condotto alla Capanna Tassone, , avevo già dimenticato l’euforia della discesa e le gambe non trasmettevano più l’energia necessaria per mantenere una velocità decorosa, arrancavo vergognosamente. L’unico pensiero che avevo in mente era il rifugio dove mi sarei fermato, già gustavo un bel pezzo di crostata, forse addirittura due, accompagnato magari da una cioccolata calda; con l’acquolina in bocca scendevo ora velocemente sul fondo sassoso e gli scannafossi che tagliavano da parte a parte la strada forestale mi mettevano in non poca difficoltà.
Pedalavo baldanzoso dietro il cortile del rifugio ignaro della delusione che mi aspettava, arrivato davanti al portone mi resi conto che era chiuso! Come chiuso? Sulla guida c’era scritto “aperto da giugno a settembre”, e cribbio era il 2 giugno! La disperazione prese il posto della rabbia, mi era rimasta solo una barretta e il prossimo rifugio sarebbe stato il Duca degli Abruzzi in cima al Lago Scaffaiolo! Ne mangiai metà e iniziai deluso la strada sterrata che mi avrebbe condotto al passo della Croce Arcana (1675 mt. slm).
La salita era sostenuta ma costante così cercai di isolare la mente, di farla uscire dal corpo per impedirgli di sentire la fatica. Attraversavo faggete, abetaie e verdi pascoli cercando di non pensare ne alla salita ne alla fame, la distanza che intercorre fra Capanna Tassone e la Croce è di circa 5 chilometri, tutti ovviamente in salita. Ora gli abeti lasciavano il posto a pratoni immensi e la visuale si apriva su quell’anfiteatro naturale composto dal Corno alle Scale e dal Libro Aperto, potei appena intravedere il monumento ai caduti che fui sorpassato da una colonne di macchine che saliva a rilento lungo la strada accidentata. Erano perlopiù persone anziane che facevano del trekking motorizzato e che tolsero una buona percentuale di epica gloria alla mia impresa.
Arrivato sulla vetta fui accolto da un vento gelido che soffiava estremamente vigoroso e che mise in ridicolo il mio abbigliamento troppo estivo. Faceva freddo e sullo 00 la tramontana non mi dava tregua, dopo poche centinaia di metri mi dovetti fermare e ripararmi dietro le antenne dei ripetitori che caratterizzano questo tratto del crinale. Preso dallo sgomento telefonai a casa per rassicurare mia moglie che stavo bene, come se lei potesse immaginare in che razza di situazione mi ero cacciato,mangiai l’altra metà della barretta e mi inoltrai sul sentiero, la meta era oramai vicina.
Questa fu realmente la parte più spettacolare del percorso, transitavo su un single track largo appena 20 centimetri su di un crinale talvolta a strapiombo sul versante pistoiese.
Caratterialmente sono una persona che ama il pericolo e l’avventura, così questo sentiero ebbe la capacità di tirar fuori le ultime energie che ormai mi restavano. Stavo per arrivare, vidi in lontananza la sagoma del lago che sin dall’antichità era stato fonte di ispirazione di leggende e racconti magici, ora era deserto e l’acqua era mossa dal forte vento, l’orrendo rifugio in lamiera che lo sovrastava mi accolse caldo come l’abbraccio di una madre. Ero arrivato in vetta ( 1800 mt slm). Entrai tremolante e controllai quanti soldi avevo nello zaino, ordinai l’equivalente in cibo e bevande calde. Ora avevo compiuto l’impresa di arrivare in cima, ma le mie fatiche non erano certo terminate, così me la presi comoda e cercai di sgranchirmi le gambe infreddolite davanti ad una stufetta a legna sotto gli occhi dell’avventore che mi guardava stupito, lui all’interno del suo rifugio con maglione, pantaloni di velluto e scarpe da trekking, io ero stato fuori in pantaloncini e maglietta a maniche corte.
Avevo veramente mangiato tanto, forse troppo, mi ero fatto prendere dal raptus bulimico che caratterizza spesso le crisi ipoglicemiche. Ora satollo mi accingevo ad intraprendere una discesa non proprio facile, visto che in gran parte segue il percorso delle piste da sci. Ero nella alta valle del Dardagna esattamente dopo poco mi trovai in un largo spiazzato vicino al rifugio delle Malghe, da qui imboccai la strada forestale che mi condusse rapidamente al piazzale degli impianti delle Polle (1515 mt slm).
Guardai il contachilometri, avevo percorso circa 33 chilometri, sbuffavo in salita come una littorina, dopo aver imboccato il sentiero 339 mi ero trovato davanti una erta molto tecnica che mi aveva costretto a scendere per diverse volte. Le gambe avevano perso la lucidità della partenza e i grossi massi che ornavano il sentiero erano per me ormai ostacoli insormontabili. Misi da parte l’orgoglio e iniziai a spingere la bicicletta in salita verso il passo del Lupo, ero sottovento ed il sole era caldo. Il sentiero mi dette tregua e divenne più facilmente transitabile, ora stavo attraversando un bosco di castagni che a differenza della vegetazione incontrata sino a quel momento rendeva lo scenario più luminoso e pulito, stavo spingendo un agile rapporto quando iniziai a pensare che in quasi quattro ore di bicicletta non avevo incontrato nessuno, ad esclusione degli agili nonnini nelle loro Panda 4X4. Questa sensazione di solitudine mi impaurì un poco, stavo pedalando su di un sentiero sconosciuto e fuori dalle rotte del trekking consueto, era la parte del percorso che meno avevo chiara quindi presi la cartina e cercai di rassicurarmi che la strada che avevo intrapreso era quella giusta. Continuavo a salire nel bosco senza la sicurezza di essere sul sentiero 339 per il Passo del Lupo gli occhi cercavano nella boscaglia ogni minimo indizio, ma i rari segni bianchi e rossi del CAI non rivelavano il loro numero di identificazione, più che passava il tempo più che l’ansia aumentava, controllavo continuamente il computer della bicicletta e la cartina l’avevo oramai imparata a memoria. Cominciavano a salirmi in testa una serie di nefande disgrazie che mi sarebbero potuto capitare: cadere in un crepaccio, ferirmi, pensai perfino di essere attaccato da qualche animale selvatico. Controllai istintivamente il cellulare, non c’era linea! Ora il bosco era tetro e cupo, rispecchiava fedelmente il mio umore, spingevo freneticamente sui pedali incurante dello sforzo, il sentiero passava sotto un enorme castagno e le fronde avevano creato una sorta di caverna, vi entrai come un condannato verso il patibolo, diedi fondo alle ultime energie e sfondai il pertugio in cui mi ero infilato.
Ora il bosco si era diradato ed in cima ad una collinetta vidi il cartello del CAI che indicava il passo del Lupo e la direzione da seguire per il passo della Riva. Come uscito da un brutto incubo intrapresi il sentiero segnato senza soffermarmi, la stanchezza cominciava a farsi sentire ed avevo ancora un po’ di salita da fare.
Lo squillo del cellulare mi fornì la scusa per fermarmi a rifiatare, era mia cugina Rossella che mi chiedeva con la sua abituale irruenza una serie di informazioni su il perché e il per come avessi fatto una determinata cosa. Rispondevo a monosillabi come il mio solito, certo lei non si poteva immaginare dove fossi e che cosa avevo appena trascorso. Chiusi la comunicazione rasserenato e ripresi a pedalare. Il sentiero ora percorreva il crinale che divide la Dardagna dall’Ospitale e dopo alcuni saliscendi arrivai al passo della Riva, qui dovetti portarmi la bicicletta a spalle lungo uno stradellino che si inerpica su delle rocce, mi arrampicai facendo attenzione a dove mettevo i piedi poiché il terreno era friabile e le gambe mi tremavano. Arrivato in cima mi resi conto che le mie fatiche stavano per finire, avevo davanti a me una lunga discesa che mi avrebbe portato al Lago di Pratignana.
Scendevo veloce senza badare molto alla traiettoria, più simile ad una valanga che a un ciclista, una grossa pietra nascosta sotto il manto delle foglie mi sbalzò di sella e per poco non cappottai.
Decisi allora di porre più attenzione a dove mettevo le ruote ed entro breve mi ritrovai nello splendido altipiano che circondava il lago, il paesaggio era di nuovo cambiato, ora vaste distese d’erba facevano da cornice ad un invaso oramai quasi completamente ricoperto da vegetazione palustre. Non mi soffermai anche perché il lago esondando aveva coperto gran parte del sentiero così dovetti fare un guado di circa cinquecento metri. Appena uscito non poco segnato da questo enorme stagno mi lanciai in discesa lungo la strada sterrata che conduceva a Canevare, dopo circa un chilometro abbandonai la facile carrareccia per intraprendere un single track degno di una gara di downhill che scende dritto attraverso un bosco di Castagni. Avrei potuto continuare fino a casa ma a circa metà discesa decisi di passare per Valfredda quindi tornai indietro sulla strada principale e presi uno stradello sulla destra che con un emozionante discesa mi portò fino all’abitato di Canevare. Qui smisi di pedalare lasciandomi cullare dalla leggera pendenza della strada asfaltata, guardai il computerino avevo percorso più di 50 chilometri ed ero stato in sella per 6 ore e avevo fatto 1800 metri di dislivello. Per i miei mezzi una grande impresa.

gheo
 

ARC_

Biker extra
:-? GRANDE!
Sono stupito del fatto che hai raccontato una esperienza simile alla mia che feci 2 anni fa' (DA SOLO) sullo stesso percorso.
La prima parte coincideva con il tracciato che avevo scelto, nella seconda parte, ho dovuto fare una variante al rifugio 'duca di abruzzi' perche' stava arrivando la sera: allora tentai una scorciatoia (non potevo arrivare fino a pratignana). Questa scorciatoia era un po' troppo inospitale per un ciclista e mi mise parecchio in crisi .... il cellulare aveva le batterie scariche .... ma (in un modo o nell'altro) riuscii a riportarmi ai ponti di fanano: ERO ESAUSTO!
Non riuscivo a fare la strada che c'e' fra i ponti e fanano. Stavo per scendere e spingere la bicicletta (x strada!!!).

pero' .... alla fine .... mi ha lasciato un bel ricordo. bei panorami....
Ebbene si'! Lo ripeterei: anche da solo!! Anche fuori allenamento!!
 

sembola

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una nera e l'altra pure
E' uno dei giri più belli che si possono fare in Appennino, l' ho fatto anch'io da solo ma ho avuto la "fortuna" di incontrare due gruppi di freeriders che mi hanno insegnato tre varianti niente male: la prima dal lago Scaffaiolo che scende diretta all' imbocco del 339 verso il Passo del Lupo, un single lungo una pista da sci immerso in cespugli di mirtilli; l'altra dopo il lago Pratignano sulla destra, la terza da Casa del Vento verso Caselle .

Non ho capito che c'entra Canevare... non è sulla strada che sale da Fanano al Cimoncino? o c'è un' omonimia toponomastica?
 

una vita da mediano

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Hai ragione canevare non c'entra niente il paesino a cui mi riferivo dovrebbe chiamarsi Serrazzone.

L'anno dopo ho ripercorso lo stesso itinerario in compagnia di un mio amico e devo dire che da un punto di vista ludico mi sono sicuramente divertito di più, ma per quanto riguarda le emozioni credo che il fatto di fare questa traversata da solo nei boschi ti porti a un livello di interiorità difficile da raggiungere nella vita normale. io ho un lavoro, una famiglia, faccio molto sport e conosco molta gente, ma questo tipo di emezioni sono uniche e le ho scritte su questo forum perchè cercavo qualcuno con cui condividerle.........sono felice di avervi trovato.

Gheo
 

ARC_

Biker extra
una vita da mediano ha scritto:
..... fare questa traversata da solo nei boschi ti porti a un livello di interiorità difficile da raggiungere nella vita normale. io ho un lavoro, una famiglia ....

Questo e' proprio l'essenza, il succo della MTB (per me).
Bello lo sport, lo sforzo ed il trovarsi anche con altri e condividere con altri i percorsi (magari anche il sentierino dietro casa che hai scoperto la volta precedente...).
Pero' la bellezza del silenzio, dei rumori della natura e dei sentimenti tuoi non inquinati da radio/tv/telefono/computer o da altri che stanno a disquisire su problemi superflui (il cambio, la sella, il colore del telaio ...).

Aaaah! La mtb!

Poi finisce il giro e ti re-immergi nei pannolini, telefonate, bollette, telecomandi, tastiere, clacson, carrell spesa, riunion condomnl, parcgg ...

Aspettando un nuovo giro
 

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