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freeride, limiti e senso della vita

enry

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ho appena finito di leggere il libro di Antoine Chandellier sulla vita di Marco Siffredi

Ho letto molti libri di montagna, alcuni scritti molti anni fa e altri invece molto recentemente. E' facile notare come siano cambiate le concezioni generali dell'alpinismo.....una volta si parlava di "sacro fuoco" e di "epiche imprese"....oggi si parla di grandi expoit e di record.......

da quello che ho capito Marco impersonava entrambe le interpretazioni...da un lato doveva andare in montagna...dall'altro voleva essere il primo a fare una discesa e poi un'altra, sempre più difficili, sempre più ripide.......

Il libro probabilmente non è il miglior libro di montagna che sia mai stato scritto ma l'ho preso perchè volevo capire un po' il personaggio in quanto nel mio piccolo anch'io ho quel qualcosa dentro che mi spinge sulle montagne d'inverno e non è solo la voglia di fare una bella discesa in fresca.........

forse 10 anni fa avrei provato solo una incondizionata ammirazione per uno come Marco......è riuscito a vivere (anche se solo 23 anni) come voleva ed è morto facendo quello che più gli piaceva fare nella vita......

però (sarà la vecchiaia) anche un altro pensiero mi gira per la testa adesso, considerando anche la percentuale di morti tra gli sciatori/snowboarders estremi (in pratica di vivi ce ne sono ben pochi): il vero senso della vita è spostare sempre e comunque il limite in avanti? oppure il più bravo è quello che riesce a fare le grandi imprese e sa quando rinunciare per portare a casa la pelle?

altro dubbio: se nella nostra zona ci fosse un giro di gente come quella di chamonix (la maggior parte della gente li classificherebbe come pazzi furiosi) saremmo dentro o fuori dalla combriccola? forse a metà strada ci siamo già? no....neanche a un quarto......(per fortuna)
 

Bike Corner

Biker dantescus
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io non la vedo come o la gloria o la vita... la vedo come una sfida con me stesso... e guardandola da questo punto di vista (ovviamente essendo consapevole del rischio che corro) la vivo serenamente, senza rimpianti...
 

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llucake ha scritto:
io non la vedo come o la gloria o la vita... la vedo come una sfida con me stesso... e guardandola da questo punto di vista (ovviamente essendo consapevole del rischio che corro) la vivo serenamente, senza rimpianti...

io sono nato con pane,nutella e ambrogio fogar e sicuramente quando mi lanciano una sfida non mi tiro mai indietro mi piace l'estremo e vivo di adrenalina però qualsiasi impresa o avventura va affrontata con pelo sullo stomaco ma anche molto criterio e saggezza e te lo dice uno che conosce atleti che consapevoli del rischio che correvano e vivendo serenamente la cosa senza rimpianti si sono fatti male veramente e uno purtroppo è su una sedia a rotelle
il mondo è bello perchè vario....saluti...........
 

lachiliuc

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enry ha scritto:
.... il vero senso della vita è spostare sempre e comunque il limite in avanti? oppure il più bravo è quello che riesce a fare le grandi imprese e sa quando rinunciare per portare a casa la pelle?
...

Ognuno di noi ha dentro la sua bilancia, e l'ago a volte pende da una parte, altre volte dall'altra...e quante volte ci siamo trovati con io che dicevo ANDIAMO e tu NO E' MEGLIO DI NO e viceversa???per fortuna (anzi per scelta) non eravamo soli a decidere. Il fenomeno freeride sta diventando una roba da rotocalchi, e quindi sta perdendo il senso che quella parolina tanto osannata vuole comunicare.
Oggi chiudo il triplo backflip (rischiando la pelle) con la moto da cross e sono dio-sceso-in-terra, poi arriva un altro tizio che due giorni dopo chiude un triplobackflip senza mani e a quel punto non posso più non essere io quello che tutti osannano, mi devo assolutamente inventare qualcos'altro...questo esempio banalissimo e moooolto terra-terra vale per qualsiasi sport estremo, si usi poi una tavola piuttosto che un asse da stiro non cambia nulla. Tutta sta frenesia dell'estremo a volte ci fa pendere l'ago verso il LO FACCIO piuttosto che il contrario, forse anche quella volta che era meglio rinunciare. Credo sia fondamentale imparare ad ascoltare e ad ascoltarsi, valutare, decidere. Meglio se non da soli. La vita è un dono. Troppa gente non la capisce, sta cosa.
 

enry

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Specy
però noi ammiriamo i campioni e i recordman

e l'idea di andare a scendere un 8000 non la vediamo come un'eresia totale...anzi....

e ognuno di noi magari fa di più di un altro......nel nostro piccolo....

ad esempio se uno è dotato per andare forte in bici il suo limite sarà di 1000 m di dislivello all'ora e magari con l'allenamento arriverà a farne anche di più....mentre per un altro quel limite sarà sempre irraggiungibile....oppure dopo anni che andiamo in sno 45° (o peggio) non sono più così terribili come la prima volta che li abbiamo fatti.....quindi anche noi nel ns piccolo spostiamo in là il limite.........

alla fine è soggettivo........

però resta il fatto che di sciatori e snowboarder estremi ne sono morti tanti (e da giovani)...forse di più rispetto a climbers che magari andavano via senza corda.........

quindi a me rimangono molti interrogativi.......anche sulle motivazioni che comunque mi spingono sempre a cercare la linea vergine......magari anche consapevole del terno al lotto che comunque si fa sempre con le valanghe....
 

lachiliuc

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enry ha scritto:
quindi a me rimangono molti interrogativi.......anche sulle motivazioni che comunque mi spingono sempre a cercare la linea vergine......magari anche consapevole del terno al lotto che comunque si fa sempre con le valanghe....

Le motivazioni vengono dal profondo di ognuno di noi, lo sai bene, e descrivere a parole tutto ciò è difficile. In montagna, come in mare, c'è sempre una componente incalcolabile, e affascinante, che a volte ti frega, pensa al lagazuoi...come dice Corona, la montagna ogni tanto si scrolla, come una grande mamma fa rotolare giù i suoi cuccioli che le stanno sopra.
Se non fossimo disposti ad accettare certi rischi, quando c'è il paaaauder ce ne staremmo in casa a leggere un libro...ma è più forte di noi, sai anche questo. Il libro si leggerà in un altro momento.
 

enry

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Marco Siffredi ha cominciato la discesa del colouir Hornbein dalla cima dell'Everest ma dopo poche decine di metri la sua traccia si è interrotta e non è più stato ritrovato............evidentemente è caduto per qualche motivo......considerando la difficoltà del percorso e della quota di problemi da affrontare ce ne sono parecchi..........

però per lui le difficoltà estreme (in discesa con la tavola) erano all'ordine del giorno........sopra il "monticello" di casa sua (M. Bianco) era sceso da pendii da 1000 metri e passa a 55-60°........e anche più ripidi......

come molti altri (soprattutto francesi) cercava sempre di trovare qualcosa di più difficile da provare

di sicuro era un grande freerider, diventato alpinista e "himalaysta" per trovare le discese da fare con la tavola.........

quello che volevo dire è che questi personaggi affascinano ma ha senso rischiare così tanto? in tutti gli sport "estremi" si rischia ma mi pare che la maggior parte degli alpinisti professionisti anche con le loro prestazioni da record siano sempre consapevoli del proprio limite (anche se è molto alto) e che stando al di sotto di esso arrivino a passare i 40 anni..........(con le dovute eccezioni ovvio)

invece nel libro si parla di molti sciatori/snowboarders estremi e delle loro imprese.........ma sono tutti morti molto giovani ........o per caduta o per valanga

mi chiedo se non ci possa essere una via di mezzo tra una vita così compeltamente spericolata e una "normale"
 

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