ESTATE
In questo breve racconto non parlerò di discese velocissime, di salti, di drop o altri funambolici tricks. Parlerò però in favore della bici, come mezzo di trasporto essenziale, come mantra quotidiano, ancora di salvezza contro un sistema che predilige e subdolamente impone luso dellautomobile presentandola come una necessità, uno status-symbol anziché come un oggetto dotato di una sua utilità e niente più.
Racconterò di qualche riflessione fatta durante un mio breve viaggio estivo, una passeggiata al mare via argini, 44 km andata e 44 ritorno in sella alla mia mountain bike.
La campagna a destra dell'argine è un catino di calore. Il sole estivo spacca. L'acqua verde del fiume è leggermente increspata da una debole brezza che non riesce a mitigare l'afa del primo pomeriggio. Il cielo, grigio dal gran caldo, è attraversato da qualche nuvola solitaria, che nulla promette e per questo nulla mantiene. Le cicale mi accompagnano col loro canto piacevole e ininterrotto, dando il ritmo alla mia pigra pedalata. Di tanto in tanto passo sotto all'ombra di un pioppo e godo dell'invitante e temporanea frescura mentre i fiori di sambuco profumano l'aria. Quasi quasi mi fermo, ma se mi fermassi, interromperei probabilmente quell'accavallarsi di meravigliose e pacifiche sensazioni di cui il mio corpo e la mia anima si stanno beando. Meglio continuare a pedalare e lasciare che i pensieri passino come le nuvole, si infrangano nella mente come onde sulla battigia, dissolvendosi e portando con sé tutti gli spiacevoli effetti collaterali che sono soliti causare. Non ho bisogno di loro, sto bene così, anche se inevitabilmente arrivano. Quando sono solo, nel silenzio, mi si presenta davanti la mia vita. Ed alzarmi in piedi sui pedali per spingere più forte non serve: magari la distanzio un attimo ma la vita mi sta incollata addosso. Meglio così, pedalare mi fa sentire vivo, faticare mi fa sentire vivo, stare da solo mi fa sentire vivo. Non sento la stanchezza, il caldo non mi dà fastidio e non sono tormentato da sete o fame. Quando arriverò mi berrò una bella birra fresca, riempirò la borraccia d'acqua e farò un bel bagno. Sto andando in spiaggia, e quasi sicuramente arriverò prima dei miei vicini che sono partiti per la stessa mia destinazione, ma rinchiusi in quella maledetta scatola di latta che è l'automobile: uno dei cancri del nostro tempo. La gente ci nasce dentro, ci vive dentro e molto spesso ci muore dentro. Me li immagino in una coda chilometrica, sotto il sole cocente, soffocati dai gas di scarico e dai vapori del bitume rovente, ad imprecare contro quelli che come loro si sono messi in viaggio tutti alla stessa ora e per la stessa destinazione. Poveri cristi che pena mi fanno Io invece me la sto godendo come non mai. Vado piano ma non mi fermo, non trovo colonna, e anche se la trovassi, agilmente sulla mia due ruote avrei la meglio, sorpassandola.
Quando pedalo non mi può fregare di meno chi sta al governo, se la mia squadra del cuore perde o vince, se le tasse aumentano o se il "Bartali" di turno mi sorpassa con sguardo irridente poveretto quanti ce ne sono come lui che il sabato o la domenica inforcano la bici per emulare "Re Leone" o il "Pirata" (pace allanima sua), che lottano col cronometro, a testa bassa, duri. Si perdono il gusto della bici, quello che la bici deve significare: due ruote di libertà. Mi piace pedalare, ma anche guardarmi intorno. Se voglio mi fermo, altrimenti continuo a far girare le ruote, lentamente o velocemente, non importa: assaporo la Natura che mi circonda
In questo breve racconto non parlerò di discese velocissime, di salti, di drop o altri funambolici tricks. Parlerò però in favore della bici, come mezzo di trasporto essenziale, come mantra quotidiano, ancora di salvezza contro un sistema che predilige e subdolamente impone luso dellautomobile presentandola come una necessità, uno status-symbol anziché come un oggetto dotato di una sua utilità e niente più.
Racconterò di qualche riflessione fatta durante un mio breve viaggio estivo, una passeggiata al mare via argini, 44 km andata e 44 ritorno in sella alla mia mountain bike.
La campagna a destra dell'argine è un catino di calore. Il sole estivo spacca. L'acqua verde del fiume è leggermente increspata da una debole brezza che non riesce a mitigare l'afa del primo pomeriggio. Il cielo, grigio dal gran caldo, è attraversato da qualche nuvola solitaria, che nulla promette e per questo nulla mantiene. Le cicale mi accompagnano col loro canto piacevole e ininterrotto, dando il ritmo alla mia pigra pedalata. Di tanto in tanto passo sotto all'ombra di un pioppo e godo dell'invitante e temporanea frescura mentre i fiori di sambuco profumano l'aria. Quasi quasi mi fermo, ma se mi fermassi, interromperei probabilmente quell'accavallarsi di meravigliose e pacifiche sensazioni di cui il mio corpo e la mia anima si stanno beando. Meglio continuare a pedalare e lasciare che i pensieri passino come le nuvole, si infrangano nella mente come onde sulla battigia, dissolvendosi e portando con sé tutti gli spiacevoli effetti collaterali che sono soliti causare. Non ho bisogno di loro, sto bene così, anche se inevitabilmente arrivano. Quando sono solo, nel silenzio, mi si presenta davanti la mia vita. Ed alzarmi in piedi sui pedali per spingere più forte non serve: magari la distanzio un attimo ma la vita mi sta incollata addosso. Meglio così, pedalare mi fa sentire vivo, faticare mi fa sentire vivo, stare da solo mi fa sentire vivo. Non sento la stanchezza, il caldo non mi dà fastidio e non sono tormentato da sete o fame. Quando arriverò mi berrò una bella birra fresca, riempirò la borraccia d'acqua e farò un bel bagno. Sto andando in spiaggia, e quasi sicuramente arriverò prima dei miei vicini che sono partiti per la stessa mia destinazione, ma rinchiusi in quella maledetta scatola di latta che è l'automobile: uno dei cancri del nostro tempo. La gente ci nasce dentro, ci vive dentro e molto spesso ci muore dentro. Me li immagino in una coda chilometrica, sotto il sole cocente, soffocati dai gas di scarico e dai vapori del bitume rovente, ad imprecare contro quelli che come loro si sono messi in viaggio tutti alla stessa ora e per la stessa destinazione. Poveri cristi che pena mi fanno Io invece me la sto godendo come non mai. Vado piano ma non mi fermo, non trovo colonna, e anche se la trovassi, agilmente sulla mia due ruote avrei la meglio, sorpassandola.
Quando pedalo non mi può fregare di meno chi sta al governo, se la mia squadra del cuore perde o vince, se le tasse aumentano o se il "Bartali" di turno mi sorpassa con sguardo irridente poveretto quanti ce ne sono come lui che il sabato o la domenica inforcano la bici per emulare "Re Leone" o il "Pirata" (pace allanima sua), che lottano col cronometro, a testa bassa, duri. Si perdono il gusto della bici, quello che la bici deve significare: due ruote di libertà. Mi piace pedalare, ma anche guardarmi intorno. Se voglio mi fermo, altrimenti continuo a far girare le ruote, lentamente o velocemente, non importa: assaporo la Natura che mi circonda