Per riprendermi delle fatiche lunari sostenute per il buon nome del Forum (di cui potete leggere qui, le puntate successive qua) ho affrontato un viaggio un po' più breve e meno accidentato verso l'Abruzzo, una zona che per me era completamente sconosciuta da ogni punto di vista.
Ho preso spunto dal miniraduno cubista nonchè dal sito di Gino&Paola per studiare tre giri alla scoperta di questa regione, mi sono armato di tracce GPS, tenda e tavolinetto e via, verso la A24.
giovedì
Il viaggio scorre via veloce, traffico inesistente sia sull' A1 che sulla A24, non ci sono neppure tanti TIR in giro. Al casello di Carsoli trovo subito le indicazioni per Marsia, dove ho intenzione di pernottare all' unico campeggio che ho trovato in tutta la zona, informazione che si rivelerà errata.
Mi accorgo subito che la montagna qui è vera, selvaggia e indomabile, tanto che neppure gli sfregi dell' uomo sono riusciti a rovinarla. Marsia è un'accozzaglia di casette tirate su alla come viene accompagnate da qualche orribile casermone fatiscente, se non fosse per un paio di muratori all' opera in un cortile non c'è forma di vita apparente, quasi una città fantasma. Il campeggio non è segnalato, lo trovo praticamente per caso sulla strada che dovrei fare la mattina seguente in bici: come anche sul nostro appennino, più che di campeggio si dovrebbe parlare di parcheggio di casette e roulottes, ma per le mie necessità è più che sufficiente. Montata la tenda faccio due passi verso le faggete, e bastano poche centinaia di metri perchè la natura torni prepotente, come a ribadire che nonostante il cemento armato siamo ospiti tollerati.
venerdì: i Simbruini
Parto dal campeggio di buon'ora, visto che si prospetta una giornata calda con possibili temporali nel pomeriggio. Scelta saggia, non tanto per il caldo (comunque sopportabile) quanto per la lunghezza del percorso, che si rivelerà essere di quasi 70 km. Il terreno è fortunatamente scorrevole, su ampie sterrate in buono stato, in un ambiente che a me ricorda l'altopiano di Asiago, forse per le numerose valli e vallette collegate tra loro. Immagino che paradiso possa essere per gli sciescursionsti in inverno...
Cavalli al pascolo alle pendici del Monte Morbano
Nella discesa verso Pereto, noto una delle cose che mi resteranno impresse di questa "spedizione", il grande numero di paesi (alcuni anche piuttosto grandi) che si vedono abbarbicati tra i monti o in cima a cocuzzoli. Pereto è proprio uno di questi, il cui centro storico è relativamente intatto e ben tenuto e invita a girellare tra le case.
Dopo un tratto assolato di asfalto arrivo al borgo di Camerata Nuova. In genere questi toponimi fanno pensare a disastri vari, ma per non rischiare figuracce epiche non oso domandare. Poi mentre prendo un caffè al bar del
paese, tra le foto dei western con Bud Spencer e Terence Hill (girati da queste parti) vedo una riproduzione di una stampa che illustra l'incendio che distrusse Camerata nell' 800, ed ottengo la conferma a quento immaginato.
La salita che mi aspetta è faticosa, ma ripaga abbondantemente, perchè porta ad un altopiano "da film" (della serie: come volevasi dimostrare ): pratoni a perdita d'occhio e poggi coperti da faggete ai lati, e nessuna traccia umana in vista... se non fosse per l'elicottero dell' Esercito che si addestra ad atterraggi evidentemente pensati per un ambiente non così pacifico e bucolico...
Dopo una stretta valle ed un'ultima salita arrivo ad un obbrobrio che si chiama Campo Rotondo. Non per il paese in sè, ne ho visti di molto peggiori, ma per l'atmosfera di abbandono e di incuria che lo pervade. Per dire, passo dietro ad un condominio di appartamenti e le ringhiere in legno dei balconi sono tutte semidistrutte, però non mancano le antenne paraboliche Fortunamente c'è un ristorante aperto che riscatta il nome del paese, con degli ottimi gnocchi fatti in casa
E come per magia, 500 metri fuori da questo incubo urbanistico ritorna la natura indomabile, una lunga valle completemente deserta salvo cavalli, mucche, ed un' upupa che mi guarda incuriosita prima di svolazzarsene via.
sabato: il Gran Sasso
Oggi mi sono alzato prima, perchè devo percorrere un bel po' di strada in auto prima di pedalare. Riscendo a Carsoli ed imbocco l'autostrada verso L'Aquila, e finalmente mi convinco che Tornimparte ed Assergi non sono nomi di fantasia inventati da Ondaverde, ma luoghi (o caselli) reali . Esco dall' autostrada e resto di stucco di fronte al paesaggio che mi si presenta... per un attimo penso quasi di prendere la funivia e di gironzolare a campo Imperatore, poi il senso del dovere prende il sopravvento e mi attengo al programma prestabilito. Il paesaggio è diverso da ieri, si attraversano valloni circondati da poggi prevalentemente erbosi forse per la maggiore quota, su stradelli usati dagli agricoltori che ancora coltivano queste terre a lenticchie, farro o patate. Qua e là si intravedono terrazzamenti, che oggi non sono più necessari grazie ai trattori, ma anche mucchi enormi di sassi a lat dei campi, evidentemente accumulati dai contadini mentre strappavano la terra alla montagna.
Due dettagli di Santo Stefano a Sessanio
Arrivato a Santo Stefano, mi sale il cuore in gola. Il paese è stato pesantemente danneggiato dal terremoto, l'antica chiesetta della Madonna del Lago è ingabbiata, la torre che sovrastava il paese è crollata ed al suo posto c'è un'impalcatura di tubi innocenti, forse per iniziare una ricostruzione, forse per marcare nell' aria una forma che ora non c'è più. Qua e là ci sono puntelli e dime per reggere gli archetti in pietra, qualche stradina è ancora chiusa. Mi aggiro per il paese col magone, di fronte alla "potenza delle cose" ti rendi conto di quanto siamo piccoli ed indifesi.
Poi però a poco a poco mi rincuoro. Forse sono le botteghe di prodotti tipici che sono tutte aperte (formaggi strepitosi...), o forse perchè anche nelle opere di consolidamento traspare un amore per il luogo che fa sperare in bene per il ritorno alla normalità.
E poi, sulla facciata di un palazzo, le palle dei Medici: l'addetta dell'ufficio informazioni del Parco del Gran Sasso e dei monti della Laga mi spiega che il paese e tutta la zona verso valle fu acquistata dai Medici alla fine del '500 per assicurarsi la produzione di lana che veniva rivenduta poi a caro prezzo alle tessiture fiorentine...
Il bello deve ancora venire, però. Dopo un breve tratto asfaltato ed una dura rampa sterrata, arrivo a Rocca Calascio, che avevo visto al cinema (ma anche sui francobolli). Senza parole...
Rocca Calascio
Due scorci della Rocca
Il borgo della Rocca
La risalita è un incubo, perchè si snoda sul fondo di una stretta valle dove il sole picchia e il vento non arriva, ma dopo diversi km e diversi litri di sudore mi affaccio finalmente sul piano di Campo Imperatore e sul massiccio del Gran Sasso.
Il Gran Sasso dalla sella di San Cristoforo
domenica: il Velino
Sveglia all'alba, reimpacchetto tutto e mi metto in moto. In realtà non reimpacchetto proprio tutto: il materassino che già mi aveva dato problemi l'anno scorso sulle Dolomiti ha alla fine tirato le cuoia e lo ripongo in un cassonetto anzichè riportarlo a casa... Alle 7 e 40 sono in bici, ed il fatto che a 1650 metri di quota si debba pedalare in maniche corte fa presagire una giornata ben calda. Oggi il giro è più selvatico, inizio a salire su per una valle su quella che dovrebbe essere una carrareccia ma che ben presto diventa un viottolo ed alla fine più neppure quello. Perchè l'Abruzzo è così, natura allo stato brado, scordatevi i sentieri pettinati delle Dolomiti o anche le paline del CAI in Toscana, qui ci vuole la cartina, il GPS, tanta esperienza e anche un po' di culo, come quello che mi aiuta ad evitare una discesa inutile (e conseguente risalita) dal passo del Morretano. Ad onor del vero dipende molto dalle zone, in alcune ci sono indicazioni ed i sentieri sono più segnalati.
In compenso l'ambiente è spettacolare, degno sicuramente di molte valli dolomitiche. Salgo con fatica (anche a piedi) al rifugio Sebastiani, dove una fetta di torta di ricotta e mandorle mi rimette in forze prima di affrontare la discesa sui piani di Pezza.
La discesa dal Rifugio Sebastiani verso i Piani di Pezza
Sono sceso da lassù...
La discesa alterna tratti scorrevoli e compatti a pezzi ghiaiosi dove è meglio "avere occhio", e non mancano neppure dei passaggi tecnici che non mi azzardo a fare con la RIP9 e senza protezioni e da solo per giunta. Il singletrack brucia più di 500 metri di dislivello, e sfocia in una gradevole sterrata che attraversa un'ampia vallata, anche questa degna delle Alpi, e che infatti ospita in inverno delle piste da fondo.
I Piani di Pezza
Fuori dal bar del centro fondo incontro due biker di Celano, con cui attcco bottone (strano! ) e che mi accompagnano a valle. Vorrei chiedergli come mai ai numerosissimi stradisti che ho incontrato sia praticamente sconosciuto il casco, ma soprassiedo Resta da affrontare l'ultima difficoltà della giornata, praticamente devo scollinare verso Campo Felice, e la scelta è tra la strada di accesso ad una pista da sci e una stradina descritta "dal fondo compatto". Scelgo quest'ultima, ma la pendenza è veramente elevata, e ancora ancora finchè è asfaltata... quando diventa sterrata riesco a pedalare solo a tratti, ma alla fine anche questa tortura finisce e mi ritrovo al colle di Forcamiccia dove mi affaccio con soddisfazione sulla piana di Campofelice.
Ormai è fatta, mancano pochi km, tanto vale che mi fermi a mangiare: dopo tutto le fettuccine fatte in casa al guanciale e l'agnello alla brace dovrebbero essere meglio di un Camogli all' autogrill Solo che il temporale pomeridiano, che mi inseguiva da tre giorni, stavolta m'agguanta. E che temporale... chiedere alla maglia che avevo lasciato incautamente sulla bici perchè si asciugasse
Infine, dopo i fiori del Pratomagno, una carrellata di fiori d'Abruzzo: