Biking the Rocciamelone (3535m)
Cronaca di un tentativo ciclistico alla più alta vetta della valle di Susa.
Viviamo in un mondo tecnologico, permeato dalla condivisione mediatica, dall’essere comunità globale on-line: ci sono delle volte in cui il significato di tutto ciò è deteriore, costituito dalla peggiore esteriorizzazione della nullità di talune azioni individuali ed altre in cui il significato diviene quello di unire persone, fatti e luoghi nel nome di una comune passione… e questa è tutta un’altra storia…
Così capita che una sera ricevo una e-mail di Fabian Gleitsmann (coloro che hanno visto il video Inversion Riders on Vimeo sapranno di chi sto parlando) che mi chiede informazioni per fare una montagna della mia valle, il Rocciamelone (3535m)…è arrivato fino alla mia casella postale grazie a una conoscenza di facebook che non ha mai visto ma che lo ha indirizzato fino a me..passando dalla realtà immateriale fatta di bytes e pulsanti “condividi”.
Fabian ha immaginato una “magic-line” di discesa che dalla vetta fino a Susa supera i 3000 metri di dislivello negativo. E’ un sogno, è stato anche uno dei miei sogni…però io so che alcuni tratti della discesa sono assolutamente al di sopra delle mie capacità: i primi 300 metri sotto la vetta sono ripidi, gradonati ed espostissimi, credo vicini o superiori a un grado S5 della scala tedesca, le possibilità di cavarsela in caso di errore sono prossime a zero.
Rimane il fatto che 3000 metri di dislivello tutti su un unico trail sono una delle più lunghe (se non la più lunga) discesa delle Alpi.
Ho finito di sognare (o forse ho appena iniziato) così gli rispondo di getto con tutti i dettagli che riesco a inserire, gli lascio il numero di telefono e do la massima disponibilità ad aiutarlo a compiere l’impresa.
Detto, fatto e una Domenica sera, accolgo a Susa lui e il suo amico Svedese Martin Stefan freschi reduci da una settimana di biking alla Trans-Provence. Dopo averli sistemati (armi e bagagli) nel B&B di un amico li porto in “piola” dove li vedo sorridere a 32 denti di fronte ad agnolotti ed altre meraviglie della cucina piemontese. Da sportivi mi dicono che non bevono (o non dovrebbero), ma resistere a bikerciuc nel suo ambiente naturale è dura e in men che non si dica hanno il bicchiere pieno anche loro. (notate che ho scritto pieno).
Al Bônet (dolce tipico piemontese) il piano di azione è fatto: l’indomani saliranno al rifugio per tentare la cima martedì mattina intanto che io metterò in secondo piano i miei impegni di lavoro per raggiungerli alla Riposa e fare con loro la seconda parte della discesa che presenta molteplici possibilità di variante tutte belle: qui l’aver tanto “ravanato” su per i monti per trovare i percorsi da inserire nella guida mi aiuta e dimostro una certa sicurezza quando mi chiedono qualche informazione su questa o quella discesa. Con aria grave li ammonisco anche sul fatto che, avendo piovuto parecchio nel we, dovranno aspettarsi un po’ di neve verso la cima e li invito a essere prudenti…mi rassicurano dicendomi che li affascina più il fatto della lunghezza complessiva dell’itinerario che il prendersi rischi assurdi su pochi passaggi, del resto le loro domande tradiscono un approfondito studio “a monte” dell’itinerario e questo fatto fa sì che il mio rispetto e la mia ammirazione nei loro confronti si approfondiscano un po’.
Il lunedì, mentre sguscio tra le incombenze di cantiere già pensando all’indomani, arriva, con precisione teutonica, un sms che mi comunica che stanno salendo al rifugio, così confermo l’appuntamento e penso già con un certo timore a che ritmo imporranno alla discesa… la notte scorre inquieta.
foto 1...la mia Alba
E’ ancora buio quando inizio la salita da Susa per raggiungerli…Non starò a raccontarvi di ogni singolo metro della mia ascesa
foto 2 verso La Riposa, sullo sfondo la vetta del Rocciamelone
…vi dirò che a causa delle condizioni (potete vederle dalle foto) hanno ritenuto prudente non tentare la cima, il resto è stata una delle discese più simpatiche e interessanti della mia vita…vorrei poter dire che non hanno dovuto aspettarmi, ma devo invece sottolineare che l’aspetto più bello è stato vederli lì fermi ad attendere che arrivassi per scattarmi qualche fotografia come avrebbero fatto con un loro amico…così ne ho ricavato una grande lezione di vita e di umanità: per essere bravi come loro occorre avere un approccio umile e paziente, occorre documentarsi,studiare e progettare con cura i propri sogni, occorre – a dispetto dei venti o poco più anni – avere una grande maturità e capacità di giudizio nello scegliere se tentare o meno un passaggio, un assoluto sangue freddo nell’aprire i freni e saltare giù da certi gradoni, una grande simpatia nell’offriti un gelato a fine gita e una immensa (per non dire oceanica) passione che ti guida ad andare, andare e poi ancora andare finchè, alla fine, non si diventa un po’ meglio di come si era: se si ha “il dono” si diventa dei fuoriclasse del nose-press come loro…altrimenti si torna a casa persino contenti di aver preso mazzate per tutta la discesa…
foto 3: Alba al rifugio Ca' D'Asti, fotografia di Fabian Gleitsmann
foto 4 Martin Stefan in azione sotto la "croce di ferro" fotografia di Fabian Gleitsmann
foto 5 Martin Stefan in azione sotto la "croce di ferro" fotografia di Fabian Gleitsmann
foto 6 insieme alla Riposa, poi li vedrò per pochi minuti per il resto della discesa
foto 7 Gleitsmann in azione sul sentiero 559 verso Susa
Per il resto ho imparato guardando: assetto fatto di pedali irrinunciabilmente flat, manubrio largo e praticamente flat anche quello, stem cortissimo forcella con settaggio piuttosto duro, pneumatici di generosa sezione e una buona attenzione a contenere il peso finale della bicicletta… tecnica stupefacente, ok, ma due cose mi hanno assolutamente colpito, la calma olimpica di fronte al quelle che chiamano “tricky sections” ed …il fatto di saper rimanere in perfetto surplace con la ruota anteriore sull’orlo di un gradone terrificante per studiarsi con calma la linea, poi un colpetto di pedale, i freni che si aprono e la magia si compie….
Rimane un po’ di nostalgia, la speranza di rivederli presto sui trail delle mie montagne e il sogno di essere diventato un po’ più bravo l’anno prossimo per farli aspettare un po’ di meno.
altre foto QUI
Cronaca di un tentativo ciclistico alla più alta vetta della valle di Susa.
Viviamo in un mondo tecnologico, permeato dalla condivisione mediatica, dall’essere comunità globale on-line: ci sono delle volte in cui il significato di tutto ciò è deteriore, costituito dalla peggiore esteriorizzazione della nullità di talune azioni individuali ed altre in cui il significato diviene quello di unire persone, fatti e luoghi nel nome di una comune passione… e questa è tutta un’altra storia…
Così capita che una sera ricevo una e-mail di Fabian Gleitsmann (coloro che hanno visto il video Inversion Riders on Vimeo sapranno di chi sto parlando) che mi chiede informazioni per fare una montagna della mia valle, il Rocciamelone (3535m)…è arrivato fino alla mia casella postale grazie a una conoscenza di facebook che non ha mai visto ma che lo ha indirizzato fino a me..passando dalla realtà immateriale fatta di bytes e pulsanti “condividi”.
Fabian ha immaginato una “magic-line” di discesa che dalla vetta fino a Susa supera i 3000 metri di dislivello negativo. E’ un sogno, è stato anche uno dei miei sogni…però io so che alcuni tratti della discesa sono assolutamente al di sopra delle mie capacità: i primi 300 metri sotto la vetta sono ripidi, gradonati ed espostissimi, credo vicini o superiori a un grado S5 della scala tedesca, le possibilità di cavarsela in caso di errore sono prossime a zero.
Rimane il fatto che 3000 metri di dislivello tutti su un unico trail sono una delle più lunghe (se non la più lunga) discesa delle Alpi.
Ho finito di sognare (o forse ho appena iniziato) così gli rispondo di getto con tutti i dettagli che riesco a inserire, gli lascio il numero di telefono e do la massima disponibilità ad aiutarlo a compiere l’impresa.
Detto, fatto e una Domenica sera, accolgo a Susa lui e il suo amico Svedese Martin Stefan freschi reduci da una settimana di biking alla Trans-Provence. Dopo averli sistemati (armi e bagagli) nel B&B di un amico li porto in “piola” dove li vedo sorridere a 32 denti di fronte ad agnolotti ed altre meraviglie della cucina piemontese. Da sportivi mi dicono che non bevono (o non dovrebbero), ma resistere a bikerciuc nel suo ambiente naturale è dura e in men che non si dica hanno il bicchiere pieno anche loro. (notate che ho scritto pieno).
Al Bônet (dolce tipico piemontese) il piano di azione è fatto: l’indomani saliranno al rifugio per tentare la cima martedì mattina intanto che io metterò in secondo piano i miei impegni di lavoro per raggiungerli alla Riposa e fare con loro la seconda parte della discesa che presenta molteplici possibilità di variante tutte belle: qui l’aver tanto “ravanato” su per i monti per trovare i percorsi da inserire nella guida mi aiuta e dimostro una certa sicurezza quando mi chiedono qualche informazione su questa o quella discesa. Con aria grave li ammonisco anche sul fatto che, avendo piovuto parecchio nel we, dovranno aspettarsi un po’ di neve verso la cima e li invito a essere prudenti…mi rassicurano dicendomi che li affascina più il fatto della lunghezza complessiva dell’itinerario che il prendersi rischi assurdi su pochi passaggi, del resto le loro domande tradiscono un approfondito studio “a monte” dell’itinerario e questo fatto fa sì che il mio rispetto e la mia ammirazione nei loro confronti si approfondiscano un po’.
Il lunedì, mentre sguscio tra le incombenze di cantiere già pensando all’indomani, arriva, con precisione teutonica, un sms che mi comunica che stanno salendo al rifugio, così confermo l’appuntamento e penso già con un certo timore a che ritmo imporranno alla discesa… la notte scorre inquieta.
foto 1...la mia Alba
E’ ancora buio quando inizio la salita da Susa per raggiungerli…Non starò a raccontarvi di ogni singolo metro della mia ascesa
foto 2 verso La Riposa, sullo sfondo la vetta del Rocciamelone
…vi dirò che a causa delle condizioni (potete vederle dalle foto) hanno ritenuto prudente non tentare la cima, il resto è stata una delle discese più simpatiche e interessanti della mia vita…vorrei poter dire che non hanno dovuto aspettarmi, ma devo invece sottolineare che l’aspetto più bello è stato vederli lì fermi ad attendere che arrivassi per scattarmi qualche fotografia come avrebbero fatto con un loro amico…così ne ho ricavato una grande lezione di vita e di umanità: per essere bravi come loro occorre avere un approccio umile e paziente, occorre documentarsi,studiare e progettare con cura i propri sogni, occorre – a dispetto dei venti o poco più anni – avere una grande maturità e capacità di giudizio nello scegliere se tentare o meno un passaggio, un assoluto sangue freddo nell’aprire i freni e saltare giù da certi gradoni, una grande simpatia nell’offriti un gelato a fine gita e una immensa (per non dire oceanica) passione che ti guida ad andare, andare e poi ancora andare finchè, alla fine, non si diventa un po’ meglio di come si era: se si ha “il dono” si diventa dei fuoriclasse del nose-press come loro…altrimenti si torna a casa persino contenti di aver preso mazzate per tutta la discesa…
foto 3: Alba al rifugio Ca' D'Asti, fotografia di Fabian Gleitsmann
foto 4 Martin Stefan in azione sotto la "croce di ferro" fotografia di Fabian Gleitsmann
foto 5 Martin Stefan in azione sotto la "croce di ferro" fotografia di Fabian Gleitsmann
foto 6 insieme alla Riposa, poi li vedrò per pochi minuti per il resto della discesa
foto 7 Gleitsmann in azione sul sentiero 559 verso Susa
Per il resto ho imparato guardando: assetto fatto di pedali irrinunciabilmente flat, manubrio largo e praticamente flat anche quello, stem cortissimo forcella con settaggio piuttosto duro, pneumatici di generosa sezione e una buona attenzione a contenere il peso finale della bicicletta… tecnica stupefacente, ok, ma due cose mi hanno assolutamente colpito, la calma olimpica di fronte al quelle che chiamano “tricky sections” ed …il fatto di saper rimanere in perfetto surplace con la ruota anteriore sull’orlo di un gradone terrificante per studiarsi con calma la linea, poi un colpetto di pedale, i freni che si aprono e la magia si compie….
Rimane un po’ di nostalgia, la speranza di rivederli presto sui trail delle mie montagne e il sogno di essere diventato un po’ più bravo l’anno prossimo per farli aspettare un po’ di meno.
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