Attraverso le Alpi con la MTB

marco

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Monte Bar
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Piove da sei ore. Esattamente da quando siamo partiti da Oberstdorf, in Germania. Siamo bagnati fradici e del rifugio non c´è traccia. Uno scassatissimo sterrato ci conduce sulle rive di un lago alpino sopra Lech, nel Voralberg tirolese. Nuvole basse ci avvolgono impietosamente. Il sudore della salita si confonde con le gocce della pioggia, ormai penetrata anche nelle membrane Gore Tex delle nostre giacche. Sia io che Conny ci eravamo immaginati diversamente il primo giorno della traversata delle Alpi con la Mountain Bike.

Lunghe serate invernali passate a studiare decine di cartine topografiche per scegliere un tragitto né troppo duro né troppo facile, con poco asfalto e molti sentieri, ovviamente. Al suono della musica di Moby ci immaginavamo le vallate verdi e deserte in cui saremmo passati, gli apfelstrudel che avremmo mangiato sotto i caldi raggi del sole estivo sulla terrazza di qualche vecchio rifugio alpino e gli odori della flora alpina.

Una sagoma nella nebbia. Il rifugio Freiburger Hütte. Non crediamo ai nostri occhi. La prima giornata di sofferenza sotto l´acqua sta per finire. Ci ritroviamo in men che non si dica nell´asciugatoio del rifugio, alla ricerca di un angolino libero in cui stendere calzini, mutande e magliette, tutti grondanti. La Freiburger Hütte è strapiena di gente che oggi, come noi, ha preso l´acqua. La vita torna alla normalità davanti ad un piatto di pasta (austriaca) al pomodoro e ad una Weißbier (austriaca anche quella, per fortuna!). L´alcool fa il suo effetto, stringiamo amicizia con un altro gruppo di biker, partiti anche loro oggi da Oberstdorf. Una chiacchiera tira l´altra, le birre si moltiplicano. La pioggia ed il maltempo sono già dimenticati.

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Un raggio di sole in faccia mi sveglia. Il lago, ieri sprofondato nella nebbia e nel grigiore della pioggia, è di un blu turchese che lascia sognare. Conny è già sveglia, arzilla e pimpante alla vista del bel tempo. La temperatura è calata, dobbiamo indossare tutto quello che abbiamo prima di cominciare la discesa tecnica che parte direttamente dal rifugio. Gli zaini sono vuoti, adesso. Siamo entrambi in giro con due zaini da 20 litri ciascuno, abbiamo puntato all´essenzialità e alla leggerezza, un po´a discapito del comfort. Non abbiamo altre scarpe con noi, a parte quelle da mtb, né molta biancheria. Ogni sera facciamo il bucato e, se le cose il mattino dopo non sono asciutte, le indossiamo con un brivido o due.
La tappa di oggi è molto lunga. C´è un tratto di circa un´ora e mezza da percorrere con bici al fianco. Il sentiero si perde in una palude di alta montagna, le marmotte fischiano al nostro passaggio e noi dobbiamo fare attenzione a non sprofondare nel fango.
Arrivati al di sopra della valle Paznaun ci aspetta la neve. È fine luglio ma l´inverno scorso è stato molto rigido. La discesa dall´Heilbronner Hütte è reso possibile dal lavoro di uno spazzanave. A destra e a sinistra ci sono muri di neve che arrivano a toccare i 5 metri di altezza. Dopo 11 ore di viaggio arriviamo a Galtür. Siamo sfiniti. Suoniamo al campanello di un Bed & Breakfast. Una gentile signora ci apre la porta e ci dà una camera. Solo dopo una doccia calda ci aggiriamo nel paesino e notiamo che di fianco alla casa che ci ospita ci sono circa 100 metri di vuoto. Niente case, niente stalle, solo una strada. Come se il paese fosse stato tagliato in due. Il racconto della valanga è terribile. La signora, con i suoi due bambini, era in casa quel pomeriggio dell´inverno del 1999. Ha ereditato la casa da suo padre, che da bravo tirolese pensò di costruire delle mura massicce, di circa 1 metro di spessore. I bambini giocavano in stanza, la signora stava stirando, quando improvvisamente la casa vibra come colpita da un enorme pugno, le finestre esplodono e una calma irreale scende su Galtür. Solo salendo al secondo piano e uscendo sul balcone si capisce quello che è successo. L´unica via di uscita dalla casa rimarrà per giorni quel balcone. Scavalcando la ringhiera si proseguiva sulla massa enorme di neve, senza dover saltare o scendere di qualche metro. 39 persone morirono quell´inverno a Galtür.

La storia ci turba, il nostro sonno è agitato. Ne parliamo il giorno dopo mentre saliamo da Ischgl verso il confine con la Svizzera, passando per la Idalpe, dove i lavori di manutenzione per le piste violentano la montagna. La lunghissima discesa da quota 2700, il punto più alto della nostra traversata, ripaga delle fatiche della salita. L´estasi della velocità e della libertà è uno dei motivi che ci ha spinto ad intraprendere questo viaggio. Dalla Svizzera torniamo in Austria, a Nauders, presso il Passo di Resia. Facciamo tappa nel simpatico paesino, trovando una camera con un letto ed un piumone fenomenali. Il mattino dopo nessuno ha voglia di alzarsi. Il sole splende e il fatto che la tappa di oggi sarà piuttosto piana ci convince ad andare a fare colazione e a dimenticare il tepore del letto.

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Oltre 100 kilometri attraversando per il lungo tutta la Val Venosta. Questa è la nostra tappa odierna. Meli, mele, meli e ancora mele. E un caldo che ci eravamo scordati potesse esistere. Solo la vista verso le cime dell´Ortler ci donano un po´di refrigerio. Pernottiamo a Lana, proseguendo il giorno dopo in direzione Brenta. Il tragitto non ci entusiasma, ci mancano le vallate austriache senza un´anima viva in giro. Da Dimaro saliamo in direzione Madonna di Campiglio, passando per un bel bosco dai profumi intensi. Il tempo peggiora, le guglie del Brenta sono nascoste dalle nubi. Il tempo di una breve pausa ed ecco che cadono le prime gocce. Niente da fare, le torri dolomitiche di questa mitica montagna non sono lì per noi, oggi. Accorciamo la tappa e proseguiamo sull´odiato asfalto in direzione Valli Giudicarie, arrivando a Storo, il posto tappa, dopo numerose ore sotto l´acqua. La pensione è squallida e non ci piace per niente. Solo la consapevolezza di quello che ci attende l´indomani ci motiva. Sempre che il tempo si rimetta al bello.

Dopo la colazione più scarna dell´intera traversata ci mettiamo in marcia di buon´ora in direzione Passo Tremalzo. Il fondoschiena, dopo 7 giorni in sella, duole. Per fortuna la salita avviene su una strada asfaltata bella liscia e poco frequentata. L´asfalto diventa nostro amico, un´eccezione. Alle 11 di mattina siamo sull´ultimo passo del nostro viaggio. E che passo! La mecca dei mountainbiker. La storica strada militare del Passo Tremalzo conduce direttamente fino a Riva del Garda, nostra meta, in circa 1800 metri di dislivello di quasi solo discesa. Punti spettacolari e un´infinità di tornanti vengono salutati dalle nostra urla di gioia. Il famoso singletrack che porta a Pregasina ce lo “mangiamo" come dei professionisti. E poi arriva un altro pezzo di storia: la strada che da Pregasina porta fino a Riva, scavata nella roccia e direttamente a picco sul blu cobalto del lago. Scendiamo molto lentamente, godendoci il panorama e guardando la meta del nostro pellegrinaggio attraverso le Alpi Orientali. Siamo stanchi e felici di avercela fatta, ma al tempo stesso vorremmo che la traversata non fosse ancora finita. Der Weg ist das Ziel. (La strada è la meta).

Reportage pubblicato su Montagnard di giugno 2003
Testo e foto: Marco Toniolo


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