ARACNOFOBIA
L'inizio
Eh si! Quella volta voleva proprio fare un giro molto lungo. Quelli che lui pomposamente soleva chiamare tra sé e sé giri di ampio respiro. Non escludeva ovviamente un tratto considerevole di strada asfaltata, ma immaginava, nella parte centrale del trail, di attraversare una zona assai impervia e per certi versi poco conosciuta da molti. Voleva partire direttamente da casa, evitando la scocciatura di prendere la macchina e caricare in essa la bici per raggiungere un comodo punto di partenza. Poi voleva fare chilometri, per riprendere gamba in vista degli impegni futuri. Alle ultime uscite aveva daltronde tristemente constatato come una sosta di più di un mese era estremamente pregiudizievole per il suo allenamento. Una volta uscito dalla parte più prettamente off road, si sarebbe ritrovato a Pian Garzeto, non molto lontano da Casa Migliorini, sulla Quattro corsie. Da li, per strade secondarie, quando sterrate quando sommariamente asfaltate, si sarebbe ritrovato a Marrucheti, dove era certo di trovare lacqua, vicino alla chiesa, la dove a fine estate si ritrovava con alcuni amici ad una nota Sagra gastronomica locale. Per i dolci saliscendi che da Marrucheti riportano ad Istia dOmbrone, strada bella e poco trafficata, avrebbe rapidamente raggiunto larteria principale che lavrebbe poi ricondotto a casa. Non escludeva una divagazione alla zona dellOsservatorio. Giusto per allungare. Giusto per evitare un po di traffico. Aveva preventivato una sessantina di chilometri, studiando la cartografia e predisponendo una traccia GPS di massima.
Ma la parte centrale del trail era la cosa più eccitante del progetto.
Voleva attraversare la Scagliata. Asfalto, Scagliata, asfalto.
La Scagliata. Quante volta laveva vista senza conoscerne il nome. Quante volte facendo la Grosseto Siena, si era volto a destra incuriosito, interrogandosi affascinato per quei colli tanto vicini quanto apparentemente impenetrabili, ostici, isolati. In una parola selvaggi. In questo stava la fascinazione del luogo. Di qua Batignano, con suoi i costrutti medievali, gli ordinati oliveti, i Poderi e i cavalli. Di la il niente, o meglio solo il verde intenso, ubertoso, ma anche oscuro e impenetrabile.
Ma come si chiama quella zona a destra della quattro corsie allaltezza di Batignano? Chiese una volta a Vincenzo, lo storico biker maremmano, noto per conoscere palmo a palmo il territorio se percorribile con una mountain bike. Ma è la Scagliata, rispose seriamente e quasi deluso che non conoscesse il nome di quel luogo. Ci abbiamo organizzato anche un raduno, continuò e li si fece serio. E un po che non ci torniamo, i sentieri si chiudono facilmente, chiosò sbrigativamente. Questa informazione, non smorzò la sua curiosità, anzi sortì leffetto opposto. Tantè che chiese immediatamente se fosse possibile attraversarla da nord a sud, per ritrovarsi a Casa Migliorini. No, è impossibile, nessuno lo ha mai fatto Rispose Vincenzo, laconicamente, mal celando un leggero fastidio, quasi volesse uscire subito dallargomento. Così fece, cambiando immediatamente discorso, rivolgendosi verso la Stolzi (Laura, la giovane e nuova adepta dei single) e sparando come al suo solito alcune simpatiche battute, su come il Puro (al secolo Marco altro storico biker) procedeva, forbici da giardiniere alla mano, a ripulire i single track di Montebottigli.
Non lo convinse.
Allora chiese ad altri informazioni. Ma tutti dimostrarono, schivamente, di saperne poco. Alcuni si inventarono indicazioni di strade e percorrenze che a ben guardare nulla avevano a che vedere con la sua idea. Quasi volessero, più o meno inconsciamente, farlo deviare dai suoi intendimenti. Certo questa ritrosia dimostrata da tutti, creava una leggera inquietudine. Ma diamine, possibile sia qualcosa di irrealizzabile? Pensava tra se e se, mentre con eccitazione consultava la cartografia e le foto aeree di Google Earth.
Effettivamente le sue speranze non erano totalmente infondate, dato che quello che traeva dalle sue consultazioni suggeriva, la presenza di sentieri, strade forestali, radure e vecchie piazzole di carbonai. Segni di presenza umana ce nerano in quel verde impenetrabile, fatto di profondi fossi e di apparenti brusche successioni e creste, talvolta digradanti in complesse ondulazioni collinari, dal disegno incerto.
Ripercorreva oramai a memoria, con ossessione con gli occhi puntati sullo schermo del computer, o sulle carte geografiche, quei luoghi, anche fino a tarda notte. Sentieri e strade collegavano con una teoria complessa e non sempre evidente, creste, fosse e poggi: I Roghiccioni, Monte Rosaio, Fosso al Ragno, Poggio Montaio e Poggio al Lupo, Cancello dei Poggi, e poi infine Fosso dei Puntoni e Pian Garzeto. Erano evidenti i segni del passaggio umano. Almeno su carte e foto aeree. Tutto ciò lo rincuorava, alimentando, con ansia, lidea di quel viaggio, di quel progetto quasi divenuto una inspiegabile necessità, e per il quale, le notti, tardava ad addormentarsi, per quanto il pensiero ne fosse monopolizzato, per quanto temeva di perdere quel logico ma labile susseguirsi di punti, incroci tracce e luoghi, del percorso che aveva a lungo studiato e immaginato.
Solo una zona risultava non perfettamente cartografata. O meglio, diciamo così, trovava una porzione di territorio sommariamente rappresentata. Quasi che i topografi avessero voluto rilevare quote ed elementi del suolo, con fretta e furia, convinti che il più fosse utilmente già stato fatto altrove. Le foto aree per contro, evidenziavano, grosso modo in quella zona, un verde più scuro, intenso, non interpretabile in termini di certa qualità di vegetazione; in apparenza senza strade o sentieri, senza vie di entrata o di uscita. Sicuramente è una zona più depressa. Pensò. Anche se era evidente la compresenza di un poggio pronunciato nelle immediate vicinanze. Non riusciva a valutarne l'estensione o la pendenza o la precisa morfologia e neanche ad associare con precisione il toponimo rilevabile dalle carte. In alcune infatti, quella zona era, insieme ad altre, indistintamente denominata Poggio al Lupo. In altre sembrava essere rilevabile il nome di Fosso al Lupo. In una carta più vecchia, e quindi necessariamente più approssimata, sembrava che alla zona fosse attribuito il toponimo di Fosso al Ragno. Strano pensò, ricordandosi immediatamente di una coppia di fratelli agricoltori e allevatori che vivevano con le mogli, pecore e trattori, alle Ragnaie di Scansano.
Valutò superficialmente questa buco cartografico, convinto comera che col suo GPS avrebbe con facilità ritrovato il collegamento di sentieri e strade che prima e dopo erano rilevabili. Si sarebbe trattato tuttal più, come in altre circostanze, di sgusciare e strisciare tra eriche marruche e lecci, concluse sommariamente. Era o non era, in fondo, un buon (anzi ottimo) conoscitore del suo Garmin? Quante volte gli altri erano ricorsi alle sue indicazioni per risolvere quelli che lui oramai si era abituato a considerare problemini, e che invece facevano vacillare, di fronte ai tasti del GPS, quei poveri e spazientiti colleghi di gite?
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L'inizio
Eh si! Quella volta voleva proprio fare un giro molto lungo. Quelli che lui pomposamente soleva chiamare tra sé e sé giri di ampio respiro. Non escludeva ovviamente un tratto considerevole di strada asfaltata, ma immaginava, nella parte centrale del trail, di attraversare una zona assai impervia e per certi versi poco conosciuta da molti. Voleva partire direttamente da casa, evitando la scocciatura di prendere la macchina e caricare in essa la bici per raggiungere un comodo punto di partenza. Poi voleva fare chilometri, per riprendere gamba in vista degli impegni futuri. Alle ultime uscite aveva daltronde tristemente constatato come una sosta di più di un mese era estremamente pregiudizievole per il suo allenamento. Una volta uscito dalla parte più prettamente off road, si sarebbe ritrovato a Pian Garzeto, non molto lontano da Casa Migliorini, sulla Quattro corsie. Da li, per strade secondarie, quando sterrate quando sommariamente asfaltate, si sarebbe ritrovato a Marrucheti, dove era certo di trovare lacqua, vicino alla chiesa, la dove a fine estate si ritrovava con alcuni amici ad una nota Sagra gastronomica locale. Per i dolci saliscendi che da Marrucheti riportano ad Istia dOmbrone, strada bella e poco trafficata, avrebbe rapidamente raggiunto larteria principale che lavrebbe poi ricondotto a casa. Non escludeva una divagazione alla zona dellOsservatorio. Giusto per allungare. Giusto per evitare un po di traffico. Aveva preventivato una sessantina di chilometri, studiando la cartografia e predisponendo una traccia GPS di massima.
Ma la parte centrale del trail era la cosa più eccitante del progetto.
Voleva attraversare la Scagliata. Asfalto, Scagliata, asfalto.
La Scagliata. Quante volta laveva vista senza conoscerne il nome. Quante volte facendo la Grosseto Siena, si era volto a destra incuriosito, interrogandosi affascinato per quei colli tanto vicini quanto apparentemente impenetrabili, ostici, isolati. In una parola selvaggi. In questo stava la fascinazione del luogo. Di qua Batignano, con suoi i costrutti medievali, gli ordinati oliveti, i Poderi e i cavalli. Di la il niente, o meglio solo il verde intenso, ubertoso, ma anche oscuro e impenetrabile.
Ma come si chiama quella zona a destra della quattro corsie allaltezza di Batignano? Chiese una volta a Vincenzo, lo storico biker maremmano, noto per conoscere palmo a palmo il territorio se percorribile con una mountain bike. Ma è la Scagliata, rispose seriamente e quasi deluso che non conoscesse il nome di quel luogo. Ci abbiamo organizzato anche un raduno, continuò e li si fece serio. E un po che non ci torniamo, i sentieri si chiudono facilmente, chiosò sbrigativamente. Questa informazione, non smorzò la sua curiosità, anzi sortì leffetto opposto. Tantè che chiese immediatamente se fosse possibile attraversarla da nord a sud, per ritrovarsi a Casa Migliorini. No, è impossibile, nessuno lo ha mai fatto Rispose Vincenzo, laconicamente, mal celando un leggero fastidio, quasi volesse uscire subito dallargomento. Così fece, cambiando immediatamente discorso, rivolgendosi verso la Stolzi (Laura, la giovane e nuova adepta dei single) e sparando come al suo solito alcune simpatiche battute, su come il Puro (al secolo Marco altro storico biker) procedeva, forbici da giardiniere alla mano, a ripulire i single track di Montebottigli.
Non lo convinse.
Allora chiese ad altri informazioni. Ma tutti dimostrarono, schivamente, di saperne poco. Alcuni si inventarono indicazioni di strade e percorrenze che a ben guardare nulla avevano a che vedere con la sua idea. Quasi volessero, più o meno inconsciamente, farlo deviare dai suoi intendimenti. Certo questa ritrosia dimostrata da tutti, creava una leggera inquietudine. Ma diamine, possibile sia qualcosa di irrealizzabile? Pensava tra se e se, mentre con eccitazione consultava la cartografia e le foto aeree di Google Earth.
Effettivamente le sue speranze non erano totalmente infondate, dato che quello che traeva dalle sue consultazioni suggeriva, la presenza di sentieri, strade forestali, radure e vecchie piazzole di carbonai. Segni di presenza umana ce nerano in quel verde impenetrabile, fatto di profondi fossi e di apparenti brusche successioni e creste, talvolta digradanti in complesse ondulazioni collinari, dal disegno incerto.
Ripercorreva oramai a memoria, con ossessione con gli occhi puntati sullo schermo del computer, o sulle carte geografiche, quei luoghi, anche fino a tarda notte. Sentieri e strade collegavano con una teoria complessa e non sempre evidente, creste, fosse e poggi: I Roghiccioni, Monte Rosaio, Fosso al Ragno, Poggio Montaio e Poggio al Lupo, Cancello dei Poggi, e poi infine Fosso dei Puntoni e Pian Garzeto. Erano evidenti i segni del passaggio umano. Almeno su carte e foto aeree. Tutto ciò lo rincuorava, alimentando, con ansia, lidea di quel viaggio, di quel progetto quasi divenuto una inspiegabile necessità, e per il quale, le notti, tardava ad addormentarsi, per quanto il pensiero ne fosse monopolizzato, per quanto temeva di perdere quel logico ma labile susseguirsi di punti, incroci tracce e luoghi, del percorso che aveva a lungo studiato e immaginato.
Solo una zona risultava non perfettamente cartografata. O meglio, diciamo così, trovava una porzione di territorio sommariamente rappresentata. Quasi che i topografi avessero voluto rilevare quote ed elementi del suolo, con fretta e furia, convinti che il più fosse utilmente già stato fatto altrove. Le foto aree per contro, evidenziavano, grosso modo in quella zona, un verde più scuro, intenso, non interpretabile in termini di certa qualità di vegetazione; in apparenza senza strade o sentieri, senza vie di entrata o di uscita. Sicuramente è una zona più depressa. Pensò. Anche se era evidente la compresenza di un poggio pronunciato nelle immediate vicinanze. Non riusciva a valutarne l'estensione o la pendenza o la precisa morfologia e neanche ad associare con precisione il toponimo rilevabile dalle carte. In alcune infatti, quella zona era, insieme ad altre, indistintamente denominata Poggio al Lupo. In altre sembrava essere rilevabile il nome di Fosso al Lupo. In una carta più vecchia, e quindi necessariamente più approssimata, sembrava che alla zona fosse attribuito il toponimo di Fosso al Ragno. Strano pensò, ricordandosi immediatamente di una coppia di fratelli agricoltori e allevatori che vivevano con le mogli, pecore e trattori, alle Ragnaie di Scansano.
Valutò superficialmente questa buco cartografico, convinto comera che col suo GPS avrebbe con facilità ritrovato il collegamento di sentieri e strade che prima e dopo erano rilevabili. Si sarebbe trattato tuttal più, come in altre circostanze, di sgusciare e strisciare tra eriche marruche e lecci, concluse sommariamente. Era o non era, in fondo, un buon (anzi ottimo) conoscitore del suo Garmin? Quante volte gli altri erano ricorsi alle sue indicazioni per risolvere quelli che lui oramai si era abituato a considerare problemini, e che invece facevano vacillare, di fronte ai tasti del GPS, quei poveri e spazientiti colleghi di gite?
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