Sabato 12/06/2010
L'idea si sviluppa dalla prima volta in cui mio zio, ciclista congenito, me ne ha parlato: lo Stelvio, e la sua strada che da Bormio (o volendo da Prato allo Stelvio) porta su al passo. Si sale da 1225 metri (vedi foto), su fino a 2758. Questo per quel che riguarda il versante lombardo, per quel che mi riguarda quello "domestico". Quello altoatesino è roba per aspiranti suicidi e bikers stra-consumati: io sfuggo a queste classificazioni.
I 220 km., quasi tutti di statale, che separano il suolo natio dalla meta della follia, mi fanno riflettere: ma sarà grossa, sta Lombardia. C'è montagna e collina fino a non poterne più, ci sono i laghi, c'è pianura, e io lo so bene, e il mare è dietro l'angolo. Qualsiasi caratteristica orografica è molto, molto più vicina di quanto si possa desiderare. Io la notte prima non ho dormito, sono uscito di casa neanche alle sei del mattino, l'ho presa con molta filosofia. Il cartello "Bormio" si palesa alle ore 9 e 27 della mattina. Vista la deludente esperienza del Penice, stavolta mi sono portato cibarie a non finire: 2 panini modello ristorante, 4 barrette proteiche, 2 lattine di energy drink (MAI PIU'), 2 dolcetti per i momenti di pausa. Tutto inutile, mentalmente ero già in vetta, fisicamente, mi sono fermato un po' prima.
E infatti, lo sentivo che c'era qualcosa di strano: la tensione che sentivo dentro, ai piedi del mostro, a quota 1225, era insopportabile. Se respiro a bocca aperta già nel parcheggio, preda dello sgomento, è chiaro che non è tutto a posto. Forse perchè di qua ci sono passati Coppi, Bartali e un sacco di altri campioni, forse perchè è un catino di navigazione per motoscafi da asfalto come la Lamborghini d'epoca con targa inglese che ho incrociato sia salendo che scendendo, o anche per più moderni giocattoli per few happy come la R8 di un tedesco, che in una scalata in un tornante chiuso mi ha dimostrato, in 0,7 secondi come recita il depliant, i miracoli di un cambio elettroidraulico, e di otto cilindri che lo portano a spasso. Non si contavano poi, i motociclisti. Il loro luna-park: targhe italiane, tedesche, austriache, inglesi, irlandesi, ceche, polacche, olandesi, francesi. Passano in un soffio, immagino i loro conducenti col fiatone anche se è il motore che fa tutto.
E parlando di motore, io comincio a scaldare il monocilindrico che da 31 anni mi porta a spasso. Sembra tutto a posto: finisco il mezzo panino che avevo cominciato in un parcheggio 100 km. più a valle, mi tracanno un energy-drink, iPOD nelle orecchie, poi, animato da un timore reverenziale, quello di trovarmi al cospetto di un mito monolitico, con una rampa scavata dentro, che sale su fino al cielo, dò la prima pedalata.
Il contakm. segna 11 all'ora: troppo. Riduco fino a 8. Quasi tutto bene, anche se grondo sudore. Passa il primo km. e mi fermo a fare qualche foto, poi riparto perchè a star fermi, si sente freddo. Km. numero due, non sono stanco, ma la sensazione che provo è di stare calcando troppo la mano. Avevo sentito parlare della tendenza delle sempre più diffuse bevande energetiche ad alzare la soglia della fatica, e infatti io sto tirando un 32-28 con una scioltezza che non ho mai avuto, neanche nelle ben più dolci colline della mia zona. L'allenamento fatto, che rasenta lo stoicismo, si fa sentire. I ciclocorsisti restano dei lontani fantasmi, si arrampicano come furetti sul tronco di un albero, qualche MTBiker c'è. Quasi tutti con preparazione filosofica: salgono piano piano, con rapporti corti.
Km. 3: sento che se continua così, lo Stelvio sarà mio, al primo colpo. Un successone. Il cielo è nuvoloso, il freddo si sente, i tornanti si fanno più stretti e più ripidi. Qualcosa mi dice che la parte buona me la sono giocata, ma 1 km. più in là, la strada spiana leggermente. Resisto alla tentazione di allungare i rapporti pestando sui pedali: sono poco allenato, ho 5 kg. di zavorra in spalla, meglio tenere la pedalata sciolta. Ed è quello che faccio.
Poi, però, il destino cambia le carte in tavola: sono al km. 5, e comincio a sentire un freddo che non mi ero aspettato. Ho dietro una maglietta asciutta, e il giacchino antipioggia, ma eviterei di usarlo. Poi, vai a sapere com'è, sento un leggero dolore al braccio sinistro. Ho sempre sentito parlare di una cosa del genere come presagio di infarto, ma nel mio caso dev'essere un risentimento muscolare, sono mesi che me lo tiro dietro, e salta fuori sotto sforzo. La mia mente, però, non è d'accordo, e cosa elabora non lo so. Ho sentito un terrore sordo farsi strada nella mente, ho avvertito distintamente il mio sguardo farsi meno nitido, le forze abbandonarmi. Sudore, a manate, il cuore lo sento nelle tempie, nel mio animo divampa un incendio. Nebbia, freddo, solitudine, la paura di non venirne mai più fuori. E fastidio fisico: non reggo più le cuffiette dell'iPOD, gli occhiali scuri, l'aria che respiro. Le mani si inchiodano sui freni, ritengo più saggio girare la bici e scendere di circa 1 km. E funziona: si dipana il tutto, il batticuore si spegne, ma non può funzionare, così. Cos'è quella cosa terribile che ho sentito, e soprattutto: di solito non si verifica col caldo? Qua si gela. E' solo una questione di suggestione, o qualcosa dentro di me, davvero non funziona? Le mie analisi sono sempre perfette, l'ecografia al torace ha detto che ho un cuore che anche un leone se lo sogna, ma adesso non significa più un accidente.
Cosa devo ringraziare per questo simpatico quadretto?!? L'altitudine? L'eccessivo sforzo? La bassa temperatura? Forse è il fatto di essere solo, e la conseguente difficoltà di farmi raccogliere quando sono ancora verticale, se qualcosa va storto. Solitari ce n'è, ma ci va poco a capire che sono quasi tutti indigeni, o comunque con a disposizione qualcuno che gli faccia da supporto per tutte le evenienze. Passa una Punto con un giovane che tiene una telecamera fuori dal finestrino, una vecchia Opel con addirittura un braccetto fatto apposta per i filmati on-board. Mi decido a risalire.
Attacco, e la pedalata, fortunatamente, resta bella sciolta. Ma sono rimasto troppo scottato. Giro un tornante, passo il rettilineo, e prima di cominciare ad aggredire il successivo, mi tocca fermarmi. L'ultima volta che mi è capitato qualcosa del genere era la settima ora con gli sci ai piedi: la stanchezza e il freddo mi avevano finito. Arriva, a buon passo, un'altra comitiva di ciclisti che scopro essere dalle mie parti. Io, adesso, non ce la faccio più. Tremo come una foglia, ho i vestiti inzuppati, lo zaino sembra essere raddoppiato di peso. Azzanno una barretta proteica, ma lo annuncio ai miei nuovi compagni di viaggio:
- Per oggi ho dato, io mollo. Torno alla macchina
La notizia desta scalpore. Tutti: no, dai, bevi che ti passa, sali piano piano, non buttarla via, hai già fatto 5 km.
Infatti, ne ho fatti 5, e mi sembra di essere staccato dalla realtà. Se avessi sempre tenuto questo passo, 8 km/h, sarei potuto essere in cima in due ore e qualcosa: niente male. Ma oramai questa meta esiste solo nei miei più reconditi desideri. Uno dei ciclisti che facevano il tifo per me mi regge un secondo lo zaino, mentre tiro fuori il giacchino e dichiaro la fine delle ostilità. Mi sento come quando facevo le bravate da ragazzo, ma sono passati tanti anni. Adesso, oltre al cuore, ci vuole il cervello. Lo spirito è sempre quello, ma le "girate di capo" devo lasciarle alle nuove generazioni.
La discesa si consuma in un attimo: sarebbe stata la migliore gratificazione farsela tutta. Ma ovviamente, ragiono, come troppo spesso capita, a mente calda: altro che tiepido sole di tarda primavera, ci sono le nubi, c'è la nebbia, fa un freddo che manco nella baia di Terranova. Ho perso.
Rivedere la mia macchina nel parcheggio mi fa quasi trasalire. Tutto da rifare: salivo troppo allegro, poca roba per vestirsi, ma soprattutto troppo poco allenamento. Doveva essere il mio regalo di compleanno, li faccio Mercoledì, ma tutto sommato sono contento lo stesso. Mi sono arreso, sconfitto con l'onore delle armi, e la parte più ripida della rampa mi spetta di diritto: che strada ragazzi, che paesaggio!
Il mito ha mietuto un'altra vittima, un altro che mestamente scalda i freni nel tornare alla macchina. Mani gonfie di freddo, mal di testa, gambe che tremano. Il ciclismo mi fa vedere i suoi lati belli e quelli terribili, come una salita che mi aspetta e sembra prendermi in giro. Tutto qui? Nient'altro? Io ti aspetto, la montagna è muta, ma il messaggio te lo manda direttamente all'interno della coscienza.
E la coscienza risponde: tornerò. A prendermi quello che mi spetta: è una promessa!
L'idea si sviluppa dalla prima volta in cui mio zio, ciclista congenito, me ne ha parlato: lo Stelvio, e la sua strada che da Bormio (o volendo da Prato allo Stelvio) porta su al passo. Si sale da 1225 metri (vedi foto), su fino a 2758. Questo per quel che riguarda il versante lombardo, per quel che mi riguarda quello "domestico". Quello altoatesino è roba per aspiranti suicidi e bikers stra-consumati: io sfuggo a queste classificazioni.
I 220 km., quasi tutti di statale, che separano il suolo natio dalla meta della follia, mi fanno riflettere: ma sarà grossa, sta Lombardia. C'è montagna e collina fino a non poterne più, ci sono i laghi, c'è pianura, e io lo so bene, e il mare è dietro l'angolo. Qualsiasi caratteristica orografica è molto, molto più vicina di quanto si possa desiderare. Io la notte prima non ho dormito, sono uscito di casa neanche alle sei del mattino, l'ho presa con molta filosofia. Il cartello "Bormio" si palesa alle ore 9 e 27 della mattina. Vista la deludente esperienza del Penice, stavolta mi sono portato cibarie a non finire: 2 panini modello ristorante, 4 barrette proteiche, 2 lattine di energy drink (MAI PIU'), 2 dolcetti per i momenti di pausa. Tutto inutile, mentalmente ero già in vetta, fisicamente, mi sono fermato un po' prima.
E infatti, lo sentivo che c'era qualcosa di strano: la tensione che sentivo dentro, ai piedi del mostro, a quota 1225, era insopportabile. Se respiro a bocca aperta già nel parcheggio, preda dello sgomento, è chiaro che non è tutto a posto. Forse perchè di qua ci sono passati Coppi, Bartali e un sacco di altri campioni, forse perchè è un catino di navigazione per motoscafi da asfalto come la Lamborghini d'epoca con targa inglese che ho incrociato sia salendo che scendendo, o anche per più moderni giocattoli per few happy come la R8 di un tedesco, che in una scalata in un tornante chiuso mi ha dimostrato, in 0,7 secondi come recita il depliant, i miracoli di un cambio elettroidraulico, e di otto cilindri che lo portano a spasso. Non si contavano poi, i motociclisti. Il loro luna-park: targhe italiane, tedesche, austriache, inglesi, irlandesi, ceche, polacche, olandesi, francesi. Passano in un soffio, immagino i loro conducenti col fiatone anche se è il motore che fa tutto.
E parlando di motore, io comincio a scaldare il monocilindrico che da 31 anni mi porta a spasso. Sembra tutto a posto: finisco il mezzo panino che avevo cominciato in un parcheggio 100 km. più a valle, mi tracanno un energy-drink, iPOD nelle orecchie, poi, animato da un timore reverenziale, quello di trovarmi al cospetto di un mito monolitico, con una rampa scavata dentro, che sale su fino al cielo, dò la prima pedalata.
Il contakm. segna 11 all'ora: troppo. Riduco fino a 8. Quasi tutto bene, anche se grondo sudore. Passa il primo km. e mi fermo a fare qualche foto, poi riparto perchè a star fermi, si sente freddo. Km. numero due, non sono stanco, ma la sensazione che provo è di stare calcando troppo la mano. Avevo sentito parlare della tendenza delle sempre più diffuse bevande energetiche ad alzare la soglia della fatica, e infatti io sto tirando un 32-28 con una scioltezza che non ho mai avuto, neanche nelle ben più dolci colline della mia zona. L'allenamento fatto, che rasenta lo stoicismo, si fa sentire. I ciclocorsisti restano dei lontani fantasmi, si arrampicano come furetti sul tronco di un albero, qualche MTBiker c'è. Quasi tutti con preparazione filosofica: salgono piano piano, con rapporti corti.
Km. 3: sento che se continua così, lo Stelvio sarà mio, al primo colpo. Un successone. Il cielo è nuvoloso, il freddo si sente, i tornanti si fanno più stretti e più ripidi. Qualcosa mi dice che la parte buona me la sono giocata, ma 1 km. più in là, la strada spiana leggermente. Resisto alla tentazione di allungare i rapporti pestando sui pedali: sono poco allenato, ho 5 kg. di zavorra in spalla, meglio tenere la pedalata sciolta. Ed è quello che faccio.
Poi, però, il destino cambia le carte in tavola: sono al km. 5, e comincio a sentire un freddo che non mi ero aspettato. Ho dietro una maglietta asciutta, e il giacchino antipioggia, ma eviterei di usarlo. Poi, vai a sapere com'è, sento un leggero dolore al braccio sinistro. Ho sempre sentito parlare di una cosa del genere come presagio di infarto, ma nel mio caso dev'essere un risentimento muscolare, sono mesi che me lo tiro dietro, e salta fuori sotto sforzo. La mia mente, però, non è d'accordo, e cosa elabora non lo so. Ho sentito un terrore sordo farsi strada nella mente, ho avvertito distintamente il mio sguardo farsi meno nitido, le forze abbandonarmi. Sudore, a manate, il cuore lo sento nelle tempie, nel mio animo divampa un incendio. Nebbia, freddo, solitudine, la paura di non venirne mai più fuori. E fastidio fisico: non reggo più le cuffiette dell'iPOD, gli occhiali scuri, l'aria che respiro. Le mani si inchiodano sui freni, ritengo più saggio girare la bici e scendere di circa 1 km. E funziona: si dipana il tutto, il batticuore si spegne, ma non può funzionare, così. Cos'è quella cosa terribile che ho sentito, e soprattutto: di solito non si verifica col caldo? Qua si gela. E' solo una questione di suggestione, o qualcosa dentro di me, davvero non funziona? Le mie analisi sono sempre perfette, l'ecografia al torace ha detto che ho un cuore che anche un leone se lo sogna, ma adesso non significa più un accidente.
Cosa devo ringraziare per questo simpatico quadretto?!? L'altitudine? L'eccessivo sforzo? La bassa temperatura? Forse è il fatto di essere solo, e la conseguente difficoltà di farmi raccogliere quando sono ancora verticale, se qualcosa va storto. Solitari ce n'è, ma ci va poco a capire che sono quasi tutti indigeni, o comunque con a disposizione qualcuno che gli faccia da supporto per tutte le evenienze. Passa una Punto con un giovane che tiene una telecamera fuori dal finestrino, una vecchia Opel con addirittura un braccetto fatto apposta per i filmati on-board. Mi decido a risalire.
Attacco, e la pedalata, fortunatamente, resta bella sciolta. Ma sono rimasto troppo scottato. Giro un tornante, passo il rettilineo, e prima di cominciare ad aggredire il successivo, mi tocca fermarmi. L'ultima volta che mi è capitato qualcosa del genere era la settima ora con gli sci ai piedi: la stanchezza e il freddo mi avevano finito. Arriva, a buon passo, un'altra comitiva di ciclisti che scopro essere dalle mie parti. Io, adesso, non ce la faccio più. Tremo come una foglia, ho i vestiti inzuppati, lo zaino sembra essere raddoppiato di peso. Azzanno una barretta proteica, ma lo annuncio ai miei nuovi compagni di viaggio:
- Per oggi ho dato, io mollo. Torno alla macchina
La notizia desta scalpore. Tutti: no, dai, bevi che ti passa, sali piano piano, non buttarla via, hai già fatto 5 km.
Infatti, ne ho fatti 5, e mi sembra di essere staccato dalla realtà. Se avessi sempre tenuto questo passo, 8 km/h, sarei potuto essere in cima in due ore e qualcosa: niente male. Ma oramai questa meta esiste solo nei miei più reconditi desideri. Uno dei ciclisti che facevano il tifo per me mi regge un secondo lo zaino, mentre tiro fuori il giacchino e dichiaro la fine delle ostilità. Mi sento come quando facevo le bravate da ragazzo, ma sono passati tanti anni. Adesso, oltre al cuore, ci vuole il cervello. Lo spirito è sempre quello, ma le "girate di capo" devo lasciarle alle nuove generazioni.
La discesa si consuma in un attimo: sarebbe stata la migliore gratificazione farsela tutta. Ma ovviamente, ragiono, come troppo spesso capita, a mente calda: altro che tiepido sole di tarda primavera, ci sono le nubi, c'è la nebbia, fa un freddo che manco nella baia di Terranova. Ho perso.
Rivedere la mia macchina nel parcheggio mi fa quasi trasalire. Tutto da rifare: salivo troppo allegro, poca roba per vestirsi, ma soprattutto troppo poco allenamento. Doveva essere il mio regalo di compleanno, li faccio Mercoledì, ma tutto sommato sono contento lo stesso. Mi sono arreso, sconfitto con l'onore delle armi, e la parte più ripida della rampa mi spetta di diritto: che strada ragazzi, che paesaggio!
Il mito ha mietuto un'altra vittima, un altro che mestamente scalda i freni nel tornare alla macchina. Mani gonfie di freddo, mal di testa, gambe che tremano. Il ciclismo mi fa vedere i suoi lati belli e quelli terribili, come una salita che mi aspetta e sembra prendermi in giro. Tutto qui? Nient'altro? Io ti aspetto, la montagna è muta, ma il messaggio te lo manda direttamente all'interno della coscienza.
E la coscienza risponde: tornerò. A prendermi quello che mi spetta: è una promessa!