A Night in Davos...

  • Cannondale presenta la nuova Scalpel, la sua bici biammortizzata da cross country che adesso ha 120 millimetri di escursione anteriore e posteriore in tutte le sue versioni. Sembra che sia cambiato poco, a prima vista, ma sono i dettagli che fanno la differenza e che rendono questa Scalpel 2024 nettamente più performante del modello precedente.
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Mrc77

Biker novus
30/3/06
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Vicenza
www.palomar.altervista.org
Bike
Santa Cruz Hightower
Prologo

Varazze, Ristorante da Gabassu. Eccitata conversazione tra due dei tre avventori, in transito da Vicenza un mercoledì sera di metà Giugno. Tutti in attesa di altri due amici, e tutti vestiti nello stesso identico modo: camicia con maniche arrotolate, pantalone passabilmente elegante da ufficio, e sneakers ai piedi. Come se tutti loro, nella giornata lavorativa appena passata, sublimassero nella divisa quello che già aspettavano per il FINE settimana…


Nelle macchine abbandonate proditoriamente nei parcheggi di accesso al centro storico del paesino Ligure, le sacche sportive lasciate nei portabagagli nascondono solo pantaloni con fondello, ginocchiere e magliette. Tutte rigorosamente da MTB. Degne compagne al diluvio di Santa Cruz vestite di sole ruote grasse che coprono le sacche in questione, adagiate nelle automobili come strutture di Calder del nuovo millennio.

“Nicola, risolto tutto. 27, 28 e 29 Luglio andiamo insieme a gente che non conosciamo a fare un giro fantastico in Svizzera, con portabagagli e tutto al seguito. Saremo in cinque…”

“Mario, tutto bene. Non fosse che è nemmeno Giugno, e che dobbiamo ancora iniziare questo week end in bicicletta: quattro giorni di discesa a Sospello, sulle orme della Trans Provence. Non abbiamo ancora iniziato, cosa stiamo già a programmare il prossimo giro?”

“Ragazzi, ma siete scemi” – completa Enrico. Che è chiaramente il più saggio.

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Parodo

Ad essere del tutto onesti, la nascita di questo giro affonda le sue radici a quasi un anno prima. Nel Maggio del 2017, fu organizzato un grandioso evento nella piana del lago di Caldonazzo, strizzando un occhio verso i primi monti del Lagorai. I Trail Hunters, temibili crociati del Nose Press dediti al culto estremo del Vertriding, organizzarono un memorabile raduno di due giorni che ha portato una serie di loschi a conoscersi, facendo leva sulle comune passioni: nella maggioranza dei casi, ruote artigliate e birra. Una dedizione davvero fuori dal comune la loro, impegnati come furono a trasportare interi fusti da 5L di “Antoniana” legati in qualche modo sui Camelback, per raffrescare gli ospiti, per più di 1500 metri di dislivello -di cui molti spallati- sulla cima dei primi monti.

Tra questi Andrea Leonardi, di Trento. Segni particolari: una passione esasperata per la montagna, in ogni sua forma. Non solo: con il palese vizio dell’organizzazione di tour sempre più impegnativi. Non a caso Andrea aveva preparato e portato a segno nell’estate del 2017 un giro che studiava da tempo, attraverso il ghiacciaio dello Stelvio ( https://www.mtbcult.it/storie/in-due-giorni-dal-passo-dello-stelvio-al-lago-di-terlago-in-mtb/ ) . Suo il sogno di continuare quel giro, mettendo in fila come perline in una collana i rimanenti “epici” sentieri a tiro di Alpi, giù per l’Engadina fino a Davos, e risalendo dal lato di Bormio sul Piz Umbrail.

Ed è così che da quel contatto, sentendosi ora via social, ora per telefono, è nata l’occasione di unirsi ad un gruppo che avrebbe provato un nuovo giro attraverso le più belle valli svizzere.

Due numeri per inquadrare le giornate, di certo impegnative: un poco meno di 145 km, ed un dislivello negativo di quasi 7.5 km. Positivo? Meno, quanto meno ha poco senso definirlo. Si sale poco, ma spesso con la bici in spalla. Circa 3500m in tutto, nei tre giorni. Ma non ci si inganni: le tre giornate sono decisamente impegnative, quanto a fatica.




Episodi

Primo Giorno

Come ogni avventura che si rispetti, la sveglia suona terribilmente presto. Il Rendez-vous è alle sei e mezzo del mattino in un parcheggio a Trento, dove gli equipaggi fanno immediata conoscenza. In ordine sparso:

Andrea, capogita. #cartografo

Max, capo furgone. Figura preziosa quanto i punti di sutura per un chirurgo di guerra. #imprenditore

I temibili fratelli Stimpfl: non sapevi se in discesa ti passavano a destra, a sinistra o direttamente sopra. #samhillfattidaparte

I due Vicentini, assonnati come non mai. #svegliaallequattro

Il Panda (aka Michele), vero mattatore dei tre giorni. Un ragazzo che ha la perfetta idea di passare dai bike park al sentiero naturale a cavallo della sua Nomad di fresca permuta, proprio nell’occasione di questo tour. #coraggiodavendere.

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Carichiamo bici e borse sul furgone, e nell’attimo di un sonno ristoratore arriviamo tutti al punto di partenza della prima tappa. Questo coincide anche con l’unica salita lunga e pedalata di un certo impegno dell’intero giro: la salita che da Malles, in Val Venosta, ci porta fino al rifugio Sesvenna quasi a cavallo del passo Slingia, a 2311 metri. Per i più curiosi, il passo coincide con lo spartiacque alpino: in Italia le acque defluiscono in Adriatico, pochi metri più in là si imbarca in un interminabile viaggio verso il Mar Nero.

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Ed è qui che davanti agli occhi di noi indomiti bikers, si apre una vista incredibile. Alcuni di noi avevano già fatto questo sentiero, passaggio forzato per il famoso giro dei tre confini: un interminabile single track, scavato nella roccia secoli addietro dai Contrabbandieri che portavano zucchero, caffè e tabacco dal Tirolo alla Svizzera.

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La valle si chiude tra le rocce e ci troviamo sul sentierino scavato nella montagna in una parete alta 800 metri, all'ombra, imponente e impressionante. La prima sensazione è un misto di paura e vertigini, accompagnate dal roboante frastuono del torrente in fondo al dirupo. Il sentiero è provvisto di un cavo d'acciaio e per fortuna non è mai troppo stretto. Rimane però altamente consigliabile non mettere mai le ruote sul punto sbagliato. Superati i primi attimi di disorientamento e raccolta la concentrazione, proseguiamo in direzione del chiaro dell'apertura della gola sul versante svizzero. Passiamo ancora per due brevi gallerie ed è fatta: davanti a noi si schiude la lucente e selvaggia Val d'Uina, una valle laterale nell'Engadina Bassa, dove in lontananza sentiamo già i campanacci delle mucche che pascolano sui prati in fiore nei pressi del maso Uina Dadaint ai piedi dell'imponente Piz Schalambert.

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Il sentiero ci esalta e come uniti da una esperienza comune, sentiamo di aver fatto qualcosa di epico. Nicola ci risveglia strappandoci una risata cinica: “Certo che km scavati nella roccia -fatica immane- per contrabbandare merce nel nome del profitto, rappresentano la migliore sintesi del modello di capitalismo. Non avrebbero mai costruito un sentiero come questo in un paese socialista…”. Qualcuno di noi ha immediatamente pensato di proteggere con un copyright tale considerazione, pensando che di single track come questi probabilmente non ne hanno a Cuba.

Nemmeno il tempo di una birra a fondo valle, che Max ci recupera in furgone: non abbiamo certo finito la giornata. Rimane infatti da prendere una delle creste che danno su Davos, scendendo dal passo Fluela: si è sentito parlare di un sentiero di quelli da ricordare.

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Come tutte le cose per cui vale davvero la pena, la cresta la dobbiamo conquistare: la funivia su cui facevamo conto, che risale sotto al Pishahorn, è aperta in solo esercizio invernale. Dato che è Luglio, che i prati sono verdi e di neve nemmeno l’ombra, logica impone che l’impianto sia chiuso.

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Poco male: bici sulla schiena e tra spallata e rampe dure ma quasi sempre pedalabili, copriamo gli ultimi 600 metri di dislivello per arrivare all’arrivo della funivia stessa.

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Ed è proprio da qui, stanchi ed affamati dalle tante ore in sella, che il nostro umore cambia con la luce del tramonto che si annuncia con il sole all’orizzonte. I colori si accendono, le montagne si ingentiliscono, il caldo diminuisce. Tutto viene vestito a sera, nelle sue immagini più belle. Il single track che scende su Davos, non è da meno: un biliardo naturale, un serpente cortese che si contorce in mille morbide spire: non una linea retta in questo continuo raccordarsi di curve, controcurve, elevazioni e piccoli salti.

I sorrisi a valle sono pari alla fame che riserveremo poi per cena: enormi.

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Un pensiero al Panda, che sfinito dalla val d’Uina, si perde l’ultima discesa (con relativa salita) per farsi scarrozzare in shuttle direttamente a Davos. Amen.

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Secondo Giorno

Il gruppo si ritrova velocemente nella stanza per le colazioni, alla spicciolata. La fatica della giornata precedente ha lasciato qualche segno, se non altro negli appetiti. Quanto di più simile si possa immaginare l'ottava piaga d’Egitto (l’invasione delle cavallette), si manifesta al buffet della colazione alla presenza di un gruppo di biker. L’iradiddio…

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Il menù della giornata è pari a quello di un pranzo in trattoria a cucina familiare. Semplice ma robusto: prenderemo la funivia che parte dal centro di Davos per raggiungere in quota a quasi 2500m la partenza dell’epic trail di Davos, notissimo single track di zona che nei suoi 43 km copre molti dei paesaggi confinanti la valle di Landwasser.

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Il trail è semplicemente splendido: dopo una prima discesa in cui il panda rischia la vita per non aver gonfiato a sufficienza le gomme (in effetti buca per la seconda volta in poche ore, e rischia la lapidazione seduta stante dai compagni di viaggio preoccupati che venga a piovere), il sentiero inizia in tutta la sua difficoltà. A differenza dell’esposta gola d’Uina, l’epic trail di Davos è impegnativo poiché faticosissimo. Un saliscendi continuo su single track, in un tripudio di radici, rampe, torrenti, pietre e pietroni da superare. Un trail da vivere in una continua sfida con sé stessi per rimanere in sella, data la tentazione di scendere dalla sella e spingere a piedi. Un trail che rappresenta l’essenza del mountain biking: single track-sempre-, ostacoli -molti-, vista sulle altre montagne -splendida-. La soddisfazione del completarlo si misura arrivando sul fondo valle da cui si può ammirare la razionale architettura del più famoso dei viadotti che percorre il trenino rosso del Bernina, quello di accesso alla sua galleria elicoidale proprio sotto il paesino di Filisur.

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Il gruppo è stanco, dopo i 43 km. Poco male: il menù conclusivo della giornata prevede di risalire in furgone, e di salire sul passo del Bernina. Da li si dovrebbe solamente scendere a Poschiavo, in Canton dei Grigioni dove dovremo passare la notte. Peccato che il dio della montagna, abbia deciso di non renderci la cosa così semplice.

Con una precisione preoccupante, il meteo Svizzero (da usare l’app MeteoSwiss) aveva preannunciato copiose piogge a partire dalle 16. Sul passo del Bernina, arriviamo alle 17. Superfluo dire che piovesse, e che a 2200m con il ghiacciaio della Diavolezza di fronte, per quanto Luglio la temperatura non fosse esattamente estiva: pioggia battente, accenni di grandine e 6-8 gradi ci attendono fuori dal furgone.

Ora, se raccontassi all’uomo della strada che un gruppo di sei uomini, al caldo conforto offerto dal ventre del furgone stesso, relativa discesa su Poschiavo e trasferimento in hotel abbia comunque preferito affrontare i 14 km di discesa sotto l’acqua battente, in braghe corte, esposti al freddo, nel fango, nella difficoltà anche solo di stare in piedi e figuriamoci in equilibrio sulle ruote,non mi crederebbe. Eppure, è esattamente quello che è accaduto: nessuno ha mollato, siamo tutti scesi in quelle condizione. Bikers…

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Superfluo dire che la discesa, per quanto bella, non sia stata guidata in maniera fluida e rilassata: più che altro si è pensato primariamente alla sopravvivenza personale, date le condizioni. La discesa tuttavia ci ha regalato un piccolo cadeaux: il sentiero incrocia più volte il trenino rosso del Bernina, nella sua discesa sul versante Italiano verso Tirano: fortuna ha voluto che transitassimo proprio insieme al treno, incrociandolo svariate volte sul tracciato. Difficile dimenticare gli occhi esterrefatti di chi, al riparo del compartimento del treno, ci ha guardati come fantasmi ricoperti di fango e freddo… Ma dai sorrisi che tutto dicevano del nostro stato d’animo!

Premio di giornata al Panda: a due terzi del Davos Epic trail per evidentemente sfinimento psicofisico esce dal sentiero, intenzionato a ritornare via asfalto. Il nostro plantigrado non sa che con questo si dovrà sorbire decine di km in asfalto su un continuo sali scendi, mentre il sentiero nel suo ultimo terzo diventava quasi solo discesa. Il tutto su una Nomad dalle ruote larghe. Ottimo allenamento per la sua prossima criterium, da gareggiare rigorosamente dopo aver trasformato la Santa a scatto fisso.

Terzo Giorno

Il sole filtra presto tra le finestre, a Luglio: riconosciamo subito la sindrome da “giro da più giorni”. Al mattino, il corpo non vuole mettersi in movimento, appannato com’è dalle fatiche del giorno prima. La meraviglia dell’uomo, la vittoria della mente sul corpo: la tua testa sa che la giornata sta per regalare altre indimenticabili emozioni, e comanda al corpo di darsi da fare. I corpi eseguono.

In effetti, il terzo giorno è stato davvero memorabile. Il programma assai semplice, nella sua meraviglia. Furgone, si risale sul passo del Bernina, si risale dal passo per 200 metri pedalati sopra al passo della Forcola (2400m), discesone infinito sino a Livigno, nuovo passaggio in shuttle sino al Passo Umbrail, vicino allo Stelvio, risalita a spinta fino agli oltre 3000m del Piz Umbrail, e discesa finale a Santa Maria in Mustair. Tutto qui, sembrerebbe.

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Ed invece, la bellezza delle montagne ,La giornata meravigliosa, la magia del picco sopra i tremila metri conquistato con una faticosa spallata a tratti un poco esposta, il sentiero su fine ghiaia che scende dalla parte alta del Piz Umbrail per portarci ad un romantico lago di alta montagna ( il lago Rims ) il sentiero che in Val Mora si butta nel bosco per non finire mai, come se si avvolgesse su se stesso in un continuo loop spazio temporale, che ci fa scendere senza perdere quota e ci riporta su curve sempre diverse, ci fa perdere il fiato. Di questa bellezza, non ci stancherebbe mai…

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Persino il Panda, in un rigurgito neorealista di razionale analisi se ne esce con un “però bello andare per sentieri invece che il bike park…”.

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Se questa giornata non rappresenta il meglio di quello che la MTB ha da offrire, non siamo lontani dalla perfezione.

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Esodo

Santa Maria in Munstair. Fine del sentiero del Piz Umbrail. Le bici a terra sul piazzale, in cerchio ad onorare lo shuttle di Max che tante volte ci ha dato conforto e metri di dislivello negativi. Bici coperte di polvere, ammaccate da qualche caduta, ma tutti noi siamo fieri di loro, di come ci hanno portato in fondo a questi tre giorni senza nessun guasto serio. Ginocchiere e gomitiere vengono ammucchiate come una scultura futurista vicino a noi, per esorcizzare la fine di questi tre giorni catartici nella loro bellezza e che difficilmente dimenticheremo nella loro avventura. Sorrisi stanchi ma sinceri, e poco importa che alcuni di noi in serata debbano fare centinaia di km vuoi per tornare a casa vuoi per raggiungere la fidanzata in vacanza. Poco importa perché siamo tutti felici…

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Il giro è stato fenomenale, prefetto nei sentieri, nella dose di fatica, nello shuttle che ci ha aiutato nel momento giusto. Le discese meravigliose, riferimento assoluto di quanto si possa fare in bici nelle alpi.

Andrea datti da fare: tira fuori un nuovo percorso per il 2019…
 
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