4 ruote al tramonto
di Feitz e Luke
Naxos (Grecia).
Non so cosa ci abbia spinto a mettere nella valigia un paio di pantaloncini col fondello…
L’intenzione era quella di godersi sole mare e tranquillità in qualche angolo sperduto delle meno note isole greche.
Le nostre bike sono rimaste a casa, per la difficoltà di portarle con noi in aereo.
Qualche senso di colpa nel lasciarle sole, chiuse nella loro cameretta, al buio per 15 giorni…
“Magari ne noleggiamo un paio… se ce ne sono… e chissà come saranno…”
I primi giorni sinceramente il caldo, la novità dei luoghi, il sole, gli scogli a picco sul mare, le spiagge come piscine naturali ed esclusive non ci hanno lasciato molto tempo per sentire la mancanza delle nostre amiche di tante avventure…
Ma dopo qualche giorno il nostro sguardo si rivolge ad un entroterra che si presenta in tutto il suo fascino: deserto, incontaminato, inviolato, silenzioso come un vecchio montanaro da anni isolato dal resto del mondo, un po’ burbero, ma col cuore gonfio di emozioni e di esperienze.
La voglia di ammirarne da vicino ogni angolo, ogni anfratto, ogni scorcio diventa incontenibile.
Noleggiamo in un piccolo negozio 2 mtb, tra le poche presenti in tutta l’isola!
Una è incredibilmente dotata di forcella ammortizzata che le dona una certa parvenza di professionalità; ma alla fin fine ci importa solo di poter ammirare più da vicino e pienamente quell’angolo di paradiso, accoccolato tra alture brulle e deserte.
Si parte.
La strada inizialmente è larga e sale costante tra una vegetazione rigogliosa e verde.
Incontriamo alcune persone del luogo e un paio di turisti che si scattano alcune foto con lo sfondo del mare alle loro spalle.
La giornata non è delle migliori: nuvoloni grigi sparsi nel cielo plumbeo minacciano di far ricadere sulle nostre teste un bell’acquazzone.
Solo più tardi capiremo tanta grazia: il sole ci avrebbe cotti a puntino!
Pedaliamo per qualche km verso ovest e cominciamo a risalire per una strada a tornanti più stretta e sinuosa.
Piccoli paesini formati da una ventina di casette bianche si stagliano all’orizzonte: sembrano scrutarci con occhio attento e diffidente, come fortezze arroccate in attesa del nemico, pronte a difendere gli abitanti da una possibile invasione.
Svoltiamo a sinistra.
La strada si inerpica tortuosa tra piante grasse ed arbusti.
Attraversiamo il primo paese, abbarbicato tra angusti e ripidi viottoli ciottolosi: dagli usci aperti delle candide case che li fiancheggiano fanno capolino alcune anziane donne, adagiate su sedie di paglia, che ci scrutano allibite e un po’ curiose, alcune intente a tirare la tela con i loro telai di legno, altre semplicemente sedute in cerca di un po’ di refrigerio.
Effettivamente il caldo comincia a farsi sentire: le nuvole si diradano nel cielo ed i raggi solari talvolta fanno capolino.
Continuiamo a salire: le gocce di sudore scendono dalla fronte lungo tutto il viso e si staccano all’altezza del mento per poi cadere sulla terra arida che le assorbe in un istante.
Lo sguardo punta alla ricerca della nostra meta: l’ultimo paesino abbarbicato sul colle più alto.
Eccoci.
Acquistiamo in una minuscola bottega una pagnotta tonda, cotta nel forno a legna e ancora calda. Non è stato facile intenderci con la vecchina che ce lo ha venduto: parlava solo un greco stretto ed incomprensibile!
Ci rifocilliamo per qualche minuto, distesi su una radura che domina dall’alto l’intera isola, e che lascia intravedere di lontano il luccichio del mare.
Di nuovo in sella: sta volta ci attende la discesa.
Sfrecciamo veloci per una strada larga e arida, tra cactus minacciosi e alberi di ulivo.
L’aria calda che accarezza impetuosa i nostri visi non ci dà sollievo: il sole oramai si è fatto largo tra le nuvole e picchia prepotente sulle nostre teste.
Al nostro passaggio la terra si solleva in una nuvola polverosa che si appiccica alla nostra pelle madida di sudore.
Ancora giù a briglia sciolta, mentre il paesaggio tutto intorno scorre veloce come noi, ma nel senso opposto al nostro: distese di ulivi ritorti e sinuosi, capre che brucano pacifiche tra i massi sparsi, cespugli verdi adagiati su distese di erba giallo oro.
I freni fischiano prima di ogni curva, preannunciando il nostro arrivo.
Le braccia dolgono nel tentativo di ammortizzare l’impatto su di un terreno che alterna tratti polverosi e sconnessi ad altri con sassi insidiosi.
A volte tratteniamo il fiato senza accorgercene: il cuore è colmo di emozioni e sembra esplodere da un momento all’altro, rigonfio di un senso di libertà ed onnipotenza.
Uno stacco della ruota ad ogni tornante; il piede tocca terra solo un istante e poi di nuovo giù a tutta.
La strada bianca e polverosa punta più o meno dritta verso il mare, un mare che ad ogni curva si fa più grande e maestoso e si avvicina a noi, ci viene incontro allargando sempre più le sue “braccia” nel tentativo di avvolgerci. E’ di un blu intenso e vivo, tinteggiato da miriadi di vele di windsurf di tutti i colori: sembrano coriandoli che volteggiano nel cielo, cullati dal vento con incredibile grazia ed armonia.
Scendiamo ancora, veloci e bramosi di quel mare che si fa più vicino ad ogni tornante, e ci ammalia come un canto di sirena che ci attira verso di sé!
Una lieve brezza porta con sé il profumo di salsedine e il rumore delle onde che si infrangono sugli scogli.
Raggiungiamo finalmente una piccola spiaggia isolata e tranquilla: via i vestiti e le scarpe…ci tuffiamo ancora accaldati e ansimanti nell’abbraccio avvolgente e refrigerante dell’acqua!
Le nostre membra si ridestano dal torpore della calura e noi ci lasciamo cullare dolcemente dalle onde, tra cielo e mare, assorti nei nostri pensieri che proiettano una serie di immagini e flash che fanno sussultare i nostri cuori.
Rimaniamo così, senza fiatare, ammutoliti da tanta bellezza selvaggia e potente.
Rimaniamo lì fino al tramonto, quando il sole tinteggia di rosso tutto intorno a sé.
Sulla strada del ritorno solo noi e le nostre ombre, adagiate su 4 ruote che girano nel silenzio della sera.
di Feitz e Luke
Naxos (Grecia).
Non so cosa ci abbia spinto a mettere nella valigia un paio di pantaloncini col fondello…
L’intenzione era quella di godersi sole mare e tranquillità in qualche angolo sperduto delle meno note isole greche.
Le nostre bike sono rimaste a casa, per la difficoltà di portarle con noi in aereo.
Qualche senso di colpa nel lasciarle sole, chiuse nella loro cameretta, al buio per 15 giorni…
“Magari ne noleggiamo un paio… se ce ne sono… e chissà come saranno…”
I primi giorni sinceramente il caldo, la novità dei luoghi, il sole, gli scogli a picco sul mare, le spiagge come piscine naturali ed esclusive non ci hanno lasciato molto tempo per sentire la mancanza delle nostre amiche di tante avventure…
Ma dopo qualche giorno il nostro sguardo si rivolge ad un entroterra che si presenta in tutto il suo fascino: deserto, incontaminato, inviolato, silenzioso come un vecchio montanaro da anni isolato dal resto del mondo, un po’ burbero, ma col cuore gonfio di emozioni e di esperienze.
La voglia di ammirarne da vicino ogni angolo, ogni anfratto, ogni scorcio diventa incontenibile.
Noleggiamo in un piccolo negozio 2 mtb, tra le poche presenti in tutta l’isola!
Una è incredibilmente dotata di forcella ammortizzata che le dona una certa parvenza di professionalità; ma alla fin fine ci importa solo di poter ammirare più da vicino e pienamente quell’angolo di paradiso, accoccolato tra alture brulle e deserte.
Si parte.
La strada inizialmente è larga e sale costante tra una vegetazione rigogliosa e verde.
Incontriamo alcune persone del luogo e un paio di turisti che si scattano alcune foto con lo sfondo del mare alle loro spalle.
La giornata non è delle migliori: nuvoloni grigi sparsi nel cielo plumbeo minacciano di far ricadere sulle nostre teste un bell’acquazzone.
Solo più tardi capiremo tanta grazia: il sole ci avrebbe cotti a puntino!
Pedaliamo per qualche km verso ovest e cominciamo a risalire per una strada a tornanti più stretta e sinuosa.
Piccoli paesini formati da una ventina di casette bianche si stagliano all’orizzonte: sembrano scrutarci con occhio attento e diffidente, come fortezze arroccate in attesa del nemico, pronte a difendere gli abitanti da una possibile invasione.
Svoltiamo a sinistra.
La strada si inerpica tortuosa tra piante grasse ed arbusti.
Attraversiamo il primo paese, abbarbicato tra angusti e ripidi viottoli ciottolosi: dagli usci aperti delle candide case che li fiancheggiano fanno capolino alcune anziane donne, adagiate su sedie di paglia, che ci scrutano allibite e un po’ curiose, alcune intente a tirare la tela con i loro telai di legno, altre semplicemente sedute in cerca di un po’ di refrigerio.
Effettivamente il caldo comincia a farsi sentire: le nuvole si diradano nel cielo ed i raggi solari talvolta fanno capolino.
Continuiamo a salire: le gocce di sudore scendono dalla fronte lungo tutto il viso e si staccano all’altezza del mento per poi cadere sulla terra arida che le assorbe in un istante.
Lo sguardo punta alla ricerca della nostra meta: l’ultimo paesino abbarbicato sul colle più alto.
Eccoci.
Acquistiamo in una minuscola bottega una pagnotta tonda, cotta nel forno a legna e ancora calda. Non è stato facile intenderci con la vecchina che ce lo ha venduto: parlava solo un greco stretto ed incomprensibile!
Ci rifocilliamo per qualche minuto, distesi su una radura che domina dall’alto l’intera isola, e che lascia intravedere di lontano il luccichio del mare.
Di nuovo in sella: sta volta ci attende la discesa.
Sfrecciamo veloci per una strada larga e arida, tra cactus minacciosi e alberi di ulivo.
L’aria calda che accarezza impetuosa i nostri visi non ci dà sollievo: il sole oramai si è fatto largo tra le nuvole e picchia prepotente sulle nostre teste.
Al nostro passaggio la terra si solleva in una nuvola polverosa che si appiccica alla nostra pelle madida di sudore.
Ancora giù a briglia sciolta, mentre il paesaggio tutto intorno scorre veloce come noi, ma nel senso opposto al nostro: distese di ulivi ritorti e sinuosi, capre che brucano pacifiche tra i massi sparsi, cespugli verdi adagiati su distese di erba giallo oro.
I freni fischiano prima di ogni curva, preannunciando il nostro arrivo.
Le braccia dolgono nel tentativo di ammortizzare l’impatto su di un terreno che alterna tratti polverosi e sconnessi ad altri con sassi insidiosi.
A volte tratteniamo il fiato senza accorgercene: il cuore è colmo di emozioni e sembra esplodere da un momento all’altro, rigonfio di un senso di libertà ed onnipotenza.
Uno stacco della ruota ad ogni tornante; il piede tocca terra solo un istante e poi di nuovo giù a tutta.
La strada bianca e polverosa punta più o meno dritta verso il mare, un mare che ad ogni curva si fa più grande e maestoso e si avvicina a noi, ci viene incontro allargando sempre più le sue “braccia” nel tentativo di avvolgerci. E’ di un blu intenso e vivo, tinteggiato da miriadi di vele di windsurf di tutti i colori: sembrano coriandoli che volteggiano nel cielo, cullati dal vento con incredibile grazia ed armonia.
Scendiamo ancora, veloci e bramosi di quel mare che si fa più vicino ad ogni tornante, e ci ammalia come un canto di sirena che ci attira verso di sé!
Una lieve brezza porta con sé il profumo di salsedine e il rumore delle onde che si infrangono sugli scogli.
Raggiungiamo finalmente una piccola spiaggia isolata e tranquilla: via i vestiti e le scarpe…ci tuffiamo ancora accaldati e ansimanti nell’abbraccio avvolgente e refrigerante dell’acqua!
Le nostre membra si ridestano dal torpore della calura e noi ci lasciamo cullare dolcemente dalle onde, tra cielo e mare, assorti nei nostri pensieri che proiettano una serie di immagini e flash che fanno sussultare i nostri cuori.
Rimaniamo così, senza fiatare, ammutoliti da tanta bellezza selvaggia e potente.
Rimaniamo lì fino al tramonto, quando il sole tinteggia di rosso tutto intorno a sé.
Sulla strada del ritorno solo noi e le nostre ombre, adagiate su 4 ruote che girano nel silenzio della sera.